Proposte Trek della Settimana

A causa dei troppi impegni in questo periodo purtroppo non riesco a scorrere settimanalmente, come avevo la buona abitudine di fare, le proposte di trekking delle varie associazioni del nostro territorio e inviare via email un riassunto con quelle a mio parere più interessanti a tutti gli amici di IndraTrek.
Ho comunque lasciato per comodità i link ai vari siti istituzionali per averli almeno sulla stessa pagina e poterli andare a consultare in autonomia.
Spero di poter riprendere al più presto.
Lucio

caips CAI Pesaro
caips CAI Montefeltro
cairn CAI Rimini
logo cai new 1 CAI Ancona
logo cai new 1 CAI Fabriano
logo-lupus Lupus in Fabula
montievalli Camminando Monti e Valli
cordata La Cordata
il-ponticello Il Ponticello

Trekking nelle zone del terremoto

Dopo il terremoto del 24 Agosto la raccomandazione è naturalmente quella di non recarsi in alcun modo a fare escursioni nelle zone colpite dal terribile sisma, per motivi di sicurezza personale ma anche per rispetto.

Per chi volesse comunque intraprendere trekking in autonomia nelle zone dei Monti Sibillini in questo periodo, ricordo che il sito Trekking Monti Azzurri ha pubblicato la lista delle zone più a rischio. In particolare l’elenco comprende:

– La zona del LAGO DI PILATO

– Le creste del VETTORE e del REDENTORE

– La zona di FOCE DI MONTEMONACO

– Le creste del MONTE SIBILLA

– Le GOLE DELL’INFERNACCIO (il Comune di Montefortino ha emesso un’ordinanza con cui la strada da Rubbiano e le gole stesse sono state transennate con divieto di accesso)

– Il MONTE PRIORA

– Le gole dell’ ACQUASANTA DI BOLOGNOLA

– Le gole del FIASTRONE

– La strada del FARGNO IN PARTICOLAR MODO VERSO BOLOGNOLA

– La strada del MONTE SIBILLA

Anche nel parco del Gran Sasso e della Laga il 24 Agosto stesso è stata emessa un’ordinanza a tutti i comuni per la chiusura di tutti i sentieri e cammini esposti.
Il comune di Pietracamela ha inoltre disposto la chiusura della via ferrata “Danesi” in seguito alle frane nella zona del Corno Piccolo.

Vedi le ordinanze
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Il Monte Senza Zucchero

Qui di seguito le due interpretazioni (mia e di Luca) dell’avventura in Majella ascendendo il Monte Amaro, o “monte senza zucchero” come mi sono divertito a chiamarlo per mio figlio.

Su Flickr alcune foto, scattate questa volta con una compatta quindi la qualità non è la solita, ma lo zaino era davvero pesante quindi non c’era molta scelta.

Su Wikiloc la traccia del percorso presa con il mio localizzatore GPS SPOT, quindi anche qui la precisione non è perfetta, ma anche questa volta “Salvatore” (come lo chiamiamo noi) ha fatto il suo dovere, facendo stare tranquilli (quasi..) tutti a casa.

Lucio

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La vista dall’alto del canalone della Rava del Ferro non promette niente di buono, siamo già scesi diverse centinaia di metri ma la strada verso il fondo è ancora molto, molto lunga..

VLUU L110, M110 / Samsung L110, M110

I chili dello zaino si fanno sentire sulle spalle e anche le ginocchia cominciano a dare qualche segno di stanchezza, rendendo l’avanzare sui ciottoli molto faticoso sia fisicamente che mentalmente. Bisogna fermarsi spesso, togliere lo zaino ogni tanto e rimanere sempre positivi, piano piano il fondo valle arriverà.

Questo bellissimo canyon di roccia e sassi (Rava come lo chiamano da queste parti) scorre tra enormi pareti e balze verticali. Il sentiero in pratica non esiste e in alcuni punti si deve sciare letteralmente sui sassi per scendere. Di certo la mancanza di una pista tra la ghiaia e le pietre mobili rendono il paesaggio naturale solo più bello ma non per questo la fatica si fa sentire di meno. Bisogna stare li con la testa per evitare di cadere e farsi male. Con mia grande sorpresa incrociamo anche due gruppi che risalgono la Rava in senso opposto al nostro. Credevo che nessuno fosse così matto da avventurarsi verso la cima passando da qui col caldo pomeridiano (forse sono davvero stanco..), inoltre hanno stuoie e sacchi a pelo e di certo contano di passare un sabato sera alternativo al Bivacco Pelino. Certo che bisogna anche ringraziarla la fatica perché ogni volta che ci si ferma non si può fare a meno di venire rapiti dalla bellezza del luogo. Se non ci si fermasse così spesso si perderebbe molto dei fiori cha saltano fuori improvvisamente dalle rocce e dei piccoli boschetti di pino mugo.

La discesa nella Rava è stato sicuramente la parte più impegnativa di tutto il nostro itinerario attorno al versante Ovest della Majella Madre, peraltro veramente spettacolare.

L’idea del giro in Majella era venuta per cercare di ripetere l’esperienza fatta dai nostri amici Claudio e Roberto lo scorso anno partendo da Fara San Martino, ma dopo la “mazzata” che ci hanno raccontato decidiamo di fare qualcosa di meno duro, un itinerario che ci permetta di dormire in tenda un paio di notti ma che ci faccia anche gustare senza soffrire troppo questa fantastica montagna. Io trovo qualche spunto e Luca come al solito si getta alla ricerca di informazioni preziose sui social e sul web. Alla fine mettiamo assieme i risultati e decidiamo l’itinerario, anche se nessun altro dei nostri si convince a venire per paura soprattutto del caldo e della mancanza di acqua in alto. Noi non molliamo e alla fine, pur non essendo una passeggiata perché sono comunque 2000 metri di dislivello per oltre 20 chilometri di cammino, devo dire che siamo fortunati e anche bravi nell’organizzare la logistica, fidandoci soprattutto dei consigli di chi qui è di casa, e alla fine tutto riesce (quasi..) alla perfezione.

VLUU L110, M110 / Samsung L110, M110

Partiamo nel primo pomeriggio da Fonte Nunzio, nei pressi di Campo di Giove, sapendo di dover fare solo un breve tratto in salita (circa 600 metri di dislivello per pochi chilometri) per poter così “saggiare” gli zaini e il peso durante il cammino. Attraversiamo il bosco fino alla Fonte dell’Orso, dove sappiamo esserci acqua e ci fermiamo poco più in alto, nel piccolo altopiano che rappresenta l’unica area pianeggiante lungo tutta la salita, dove montiamo le tende. Incontriamo qui di nuovo i nostri unici compagni di salita, un gruppo di ragazzi olandesi in viaggio attraverso l’Italia con tanto di furgone e rimorchio, che decidono di passare la notte in cima all’Amaro. Sono partiti tardi per la cima, alcuni sono in pantaloni corti, maglietta e sandali e un pochino ci preoccupiamo per loro, ma non sembrano farsi tanti problemi. Appena piantata la tenda sopra di noi il cielo si rannuvola decisamente (poveri olandesi) e anche nella valle sottostante l’aria si addensa molto. Ci gustiamo lo spettacolo dal nostro spazio privilegiato mentre mangiamo la nostra “cena di pesce” su una roccia. Le nuvole a tratti salgono verso di noi, ci coprono per un attimo per poi scomparire di nuovo, sopra è tutto nero e non sappiamo se sta piovendo, mentre nella valle il mare di nubi si espande e si ritira. Per completare lo spettacolo proprio di fronte il Monte Mileto lascia passare gli ultimi raggi del sole al tramonto tra le nuvole.

La notte in tenda dormo sempre poco e in più ogni tanto mi sembra anche di avvertire la presenza di qualche animale incuriosito, ma forse è solo il vento che muove i lembi della tenda fissati in modo non proprio professionale. Il mattino siamo comunque riposati e abbastanza in forma, fa abbastanza freddo e dopo una colazione veloce scendiamo verso la fonte a fare rifornimento d’acqua, visto che non la troveremo più fino a sera. Iniziamo così la parte più dura della scalata verso la cima dell’Amaro, il clima è ideale, fresco visto che c’è ancora la montagna che ci copre dal sole, e così riusciamo in un paio d’ore ad affrontare la parte più ripida fino al Fondo di Femmina Morta. Ci riposiamo un po’ e incontriamo i nostri amici olandesi che rientrano al loro furgone per continuare, ci dicono, fino a Venezia e alle Dolomiti. Hanno passato la notte nella Grotta Canosa perché dicono che il bivacco non era in condizioni molto ospitali. Il paesaggio quassù a 2500 metri è spettrale, sembra solo un immenso deposito di ciottoli e pietra con il grigio che domina su tutto, ma guardando bene si vedono spuntare tantissimi fiori di ogni tipo e colore dappertutto. Percorriamo tutta la Valle glaciale di Femmina Morta su terreno quasi pianeggiante e presto compare sullo sfondo il Monte Amaro, con il caratteristico puntino rosso del Bivacco Pelino appoggiato proprio vicino alla sommità.

VLUU L110, M110 / Samsung L110, M110

Si è immersi in un panorama e un’atmosfera davvero particolari, non mi viene in mente nessuna somiglianza ad altre montagne che conosco. Finito l’altopiano la vista può spaziare verso Est sulla valle di Fara e sui monti vicini (Rotondo, Pomilio, S. Angelo) che invece a tratti mi ricordano stranamente il Wadi Rum o il deserto dell’ovest americano. Saliamo in cima, c’è ancora qualche chiazza di neve a dimostrare che il caldo che tanto si temeva non c’è proprio. La brezza da nord ci ha accompagnato per tutto l’altopiano e per l’ultima parte di salita, rendendo il cammino davvero piacevole. Il bivacco Pelino fa scena da lontano ma da vicino non è un gran che. Soprattutto le condizioni all’interno sono abbastanza tristi, non capisco proprio come chi faccia tanta fatica a portare fin quassù bottiglie di plastica piene d’acqua da 2 litri poi non trovi la forza per riportarle indietro vuote.. Si vede che la vetta è molto frequentata, ci si arriva da più versanti e dal rifugio Pomilio, e avendo questo appoggio del bivacco molta gente viene qui a passare la notte, ma un rifugio di emergenza non può essere adibito a discarica , è davvero vergognoso.

VLUU L110, M110 / Samsung L110, M110
Con l’avanzare della giornata le nuvole si addensano ancora, non c’è più l’azzurro totale  del mattino. Pranziamo di fianco al bivacco e quindi iniziamo la discesa alla ricerca del bivio per la Rava del Ferro. Finora è stato tutto perfetto, segni rifatti da poco su tutti i sentieri e le carte che ho, seppur vecchie di qualche anno, sono fedeli. Qui però i pur bravissimi responsabili della segnaletica del parco ci giocano uno scherzetto, decidendo di “rinominare” un paio di sentieri con sigle precedentemente appartenute ad altri percorsi. Ci troviamo quindi al nostro incrocio ma la segnaletica indica B5 e non B7 come nella mia carta e nessun segnavia indica la direzione della Rava del Ferro. OK ci può stare la mancanza del cartello, peccato però che nella mia carta (ufficiale del Parco) il B5 è il sentiero che porta sulla cresta del Pesco Falcone, e quindi penso che siamo andati troppo avanti, non abbiamo visto la svolta. Torniamo indietro immersi nelle nuvole che non rendono certo la ricerca facile e perdiamo quasi un’ora fino ad arrivare alla conclusione (grazie soprattutto al GPS di Luca) che l’incrocio che avevamo trovato in prima battuta era quello giusto..
Alla fine del canalone della Rava del Ferro (oltre 3 ore di discesa) si arriva a una strada chiusa. Il nostro piano è di raggiungere il rifugio della Fonte della Chiesa dove sappiamo esserci acqua e dove abbiamo intenzione di fermarci per la notte, ma un gentilissimo motociclista ci indirizza invece verso la Fonte della Lama Bianca, una radura fatata dove piantiamo (si fa per dire, visto che i sassi del sottofondo non sono proprio d’accordo a farsi infilare dai picchetti) senza indugio le tende, immersi nel silenzio della faggeta.
Dopo cena rimane ancora  un po’ di tempo prima di crollare per studiare il percorso finale per l’indomani. Tagliando attraverso il bosco arriviamo così al sentiero per il Passo di S. Leonardo, da dove con pochi chilometri di strada torniamo al punto di partenza per chiudere questo magnifico anello.

Lucio Magi – Agosto 2016

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Di sicuro è stata la mia prima avventurosa (wild): stare tre giorni in montagna, camminare su valli, cime e boschi dormendo due notti in tenda non lo avevo mai fatto, eppure non era la prima volta, non saprei il perché forse perché in montagna ci sono spesso, forse per il ricordo di quelle poche volte che da ragazzino ho dormito nella tenda, oppure perché è una cosa che mi ha sempre attirato e sento dentro e l’avventura in Majella è solo la sua estrinsecazione. Non saprei dirlo meglio di così cioè la prima volta ma che lo avevo già fatto tantissime altre volte.

Siamo partiti la mattina poco dopo le 8, Lucio saluta affettuosamente i suoi figli, gioca scherza e saliamo in macchina, non sapevamo nulla di cosa avremmo trovato, il percorso ovviamente lo abbiamo guardato nella carta, studiato le fonti di acqua, ma fino a quando non sei li non lo sai! E noi due non eravamo mai stati in Majella, la nostra meta il monte Amaro, come ha detto Lucio a Bisti il monte senza zucchero!

Arriviamo a Pacentro, molto bello e meriterebbe una visita, ma noi ci mangiamo un bel piatto di pasta, e poi via a prendere il sentiero, il P5 da fonte nunzio per arrivare fino alla fonte dell’orso e piantare le tende poco sopra a 1800 metri!

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Apriamo due scatolette per cena e ci gustiamo il panorama! Osserviamo e cerchiamo di capire come si muovono le nuvluca2ole, sembra quasi che quello che abbiamo studiato lo possiamo finalmente vedere, chiacchieriamo e intorno le 21, 30, dopo il bellissimo tramonto sul Gran Sasso, si va a dormire.

Soffro un po’ il freddo ma tutto sommato riesco a fare delle ore di sonno, alle 5 ci si sveglia si fa colazione, si va a prendere l’acqua alla fonte dell’orso e via zaino in spalle (non l’ho pesato ma leggero non era). Ci si incammina verso la forchetta della Majella, incrociamo il P1 e via si sale e ci si riposa, è presto siamo ad ovest quindi il sole ancora non ci raggiunge! Avanziamo  verso la valle della femmina morta, fino a vedere quell’astronave (come qualcuno l’ha definito) arancione ossia il Pelino! arriviamo alla grotta Canosa, per fare l’ennesima pausa, con lo zaino distruggo un omino che poi ricostruiamo e via l’ultimo sforzo fino ala cima del Monte Amaro, il Monte senza zucchero.

 

Inutile dire che il paesaggio è spettacolare ed originale!

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Dopo aver mangiato i nostri panini ci mettiamo in cammino per scendere a valle, un po’ di incertezze per trovare la Rava del Ferro, a causa di una vecchia carta con numerazioni non più corrispondenti alla segnaletica, ma presto si comincia a scendere e presto ci siamo accorti di che tipo di discesa fosse e di quanto ancora dovessimo faticare. 1500m di discesa su rocce, ghiaione non sono uno scherzo soprattutto con quei kili sulle spalle! Però arriviamo in fondo, fino alla Lama Bianca!

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Desideravo una fonte, sapevamo che c’erano diverse fonti, ma non sapevamo che quando saremmo arrivati li la forza per cercare quella che buttasse l’acqua non c’era! Grazie alle indicazioni di un   motociclista siamo arrivati presto alla fonte della lama bianca o meglio Persechillo! Abbiamo bevuto, ci siamo rinfrescati e abbiamo pernottato. La seconda notte è andata meglio, non era freddo ed eravamo in una faggeta meravigliosa, un letto di foglie.

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Il terzo ed ultimo giorno abbiamo proseguito verso SUD, indicazione regalataci dal tramonto della sera prima, attraversando il bosco con l’aiuto della carta e GPS per andare a prendere il sentiero Q1 che ci avrebbe condotti attraverso dei pratoni sulla strada poco prima di dove avevamo parcheggiato l’auto.

Era la prima volta che facevo una cosa che ho sempre fatto.

Luca Bragina – Agosto 2016

 

Traversata dello Sciliar

A che ora mettiamo la sveglia?

Ci alziamo e facciamo colazione, inutile dire che il latte appena munto che hanno preso Roberto e Giordana nella stalla sotto casa è favoloso. Usciamo, ci mettiamo gli scarponi e cominciamo a camminare….
Non sapevo molto sul percorso, perché abbiamo deciso di partire all’ultimo momento! Stavamo preparando un’escursione sul Monte Amaro in Majella (solo rimandata) ma il meteo ci ha fatto cambiare luogo. Roby la zona dello Sciliar la conosce visto che lo zio ha una casa, casa che gentilmente ha messo a diposizione per noi.
 
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Umes ancora dorme, saliamo la strada e prendiamo il sentiero nel bosco, Roby e Danilo aprono il percorso, io sto in mezzo e aspetto Marisella e Gio, si cammina dentro un’abetina molto bella, la pendenza non scherza ma nemmeno il panorama! Poco dopo arriviamo all’hotel Alp, Lella è stanca ha bisogno di una pausa e di mangiare qualche cosa, anche se avevamo fatto pochi chilometri l’inizio non è mai troppo simpatico. La vista verso Tires è favolosa, ricominciamo a salire con qualche dubbio su Lella, che poi sconfessa alla grande! Il bosco è sempre più bello e poco dopo entriamo nella gola del Rio Sciliar! Davvero bella, si cammina con il rumore dell’acqua e paesaggi fatati. Nei pezzi dove il sentiero non esiste hanno costruito dei ponti sopra il Rio che congiungono anche per decine di metri il sentiero. Con un passo tranquillo arriviamo alla Malga Sesseichwaige, la Lella è in forma, tutti noi lo siamo ma abbiamo fatto 1000 metri di dislivello e decidiamo di fare il punto della situazione. Seduti in quel paradiso per una pausa mangereccia io ordino formaggio alla cipolla e mezza pinta di birra, anche se so che la salita non sarebbe finita lì e l’avrei pagata!
Le galline ci beccavano i piedi, le vacche pascolavano tranquillamente, la vista sui monti attorno, in particolare il gruppo del Catinaccio, era sempre più appagante e la voglia di salire cresceva. Così decidiamo di dirigerci verso il rifugio Bolzano, ossia il massiccio dello Sciliar, ossia il Monte Petz!

 

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Si riprende il cammino, il formaggio si fa sentire, c’è vento ed è abbastanza freddo e via via che saliamo si apre il paradiso! Roby è sempre avanti ad aprire la strada, la Gio ha una botta di energia (a lei capitano spesso queste cose), così parte e ci sta davanti, io assieme al formaggio e alla birra saliamo di buon passo ma con fatica… Però davvero lo spettacolo ripaga il tutto alla grande. Danilo mi fa notare delle marmotte a qualche decina di metri, più si sale più si scoprono le rocce dolomitiche dell’Alpe di Siusi! A fatica arriviamo al Rifugio Bolzano! Bello, se così si può definire, ci rilassiamo un attimo e il panorama a 360 gradi è davvero unico! Mi sono sentito in paradiso! Verso oriente le principali dolomiti: Il Sassolungo, il Sassopiatto, il Piz Boè, fino la Marmolada erano tutte in fila lì!

Entriamo nel rifugio e ci beviamo un caffè! Dicendo che sarebbe stato bello fermarsi una notte in quel paradiso.

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La discesa verso l’Alpe di Siusi è meravigliosa! Decidiamo di arrivare fino al Campaccio, da cui avremmo preso il bus fino a Fiè dove Roby e Dani avevano portato la mia macchina il mattino, Però ad un certo punto visto che era tardi ci dividiamo. Roby va in fuga fino a Siusi dove trova un passaggio per recuperare la macchina, noi proseguiamo verso il Campaccio passando per la malga Saltner utte. Sono ormai le 8 di sera, siamo a 1800 metri di quota ed  è fresco. Abbiamo fatto 20km e quasi 1700 di dislivello positivo (800 negativo), quindi inutile dire che siamo stanchi! Ma la forza per andare in pizzeria prima di arrivare a casa la troviamo tutti!

 

Luca Bragina 19 Luglio 2016

Spoleto-Norcia (?) in MTB

galleriaUn itinerario mai monotono, bellissimo in entrambe le sue parti, quella che scorre di fianco ai fiumi Sordo, Corno e Nera, il più grande tributario del Tevere, e quella che è scolpita attorno alla roccia del Monte Piano di Spoleto.

Non è né troppo duro né troppo lungo, si adatta a molti, e sembra quasi che chi progettò la vecchia ferrovia nel lontano 1926 fosse un ciclista e avesse già pensato che un giorno la tratta sarebbe stata convertita a tale scopo.

La gente è cortese, i bar e i posti di ristoro sono colmi di turisti che si godono i fantastici scorci e panorami della Valnerina.

La pista, completamente ciclabile, è segnalata perfettamente con cartelli e segni inequivocabili, che non danno la possibilità di perdersi nemmeno ai ciclisti meno esperti e alle famiglie nord europee che arrivano numerose, affascinate dai racconti che hanno sentito da chi ci è già stato o che hanno letto sul web.

Basterebbe molto poco credo, per fare della Spoleto-Norcia (?) quanto ho descritto sopra. E’ già tutto li, la natura e gli ingegneri ferroviari del primo novecento hanno già predisposto tutto. Peccato però che, una volta arrivati in prossimità di Biselli, la ciclabile finisca e non si riesca di fatto ad arrivare a Norcia (ecco il perché del ? del titolo) se non passando sulla temibile statale 685 e condividendo la strada a due corsie con auto e moto, rischiando di fatto di essere asfaltati soprattutto all’interno di una delle pericolosissime gallerie stradali. E peccato anche che lungo la gran parte del percorso le indicazioni per i ciclisti (o anche per chi affronta il cammino a piedi) siano piuttosto carenti e maldisposte.

Certo qualcuno dirà che basta informarsi prima su qualche blog o su qualche sito specializzato di mountain-bike, e che comunque qualcuno a cui chiedere lungo il percorso si trova sempre . Forse molti di quelli che si avventurano qui riescono anche a scoprire in anticipo che le gallerie stradali si possono anche evitare, passando nelle interruzioni del guard-rail o addirittura in certi casi scavalcando del tutto le protezioni. Di certo qualcuno dirà anche che così è più divertente, che c’è più spirito d’avventura, ma credo che sulla sicurezza sia meglio non scherzare.

Non si capisce come mai una risorsa come la vecchia ferrovia Spoleto-Norcia, un vero gioiello, che potrebbe essere così preziosa per il territorio e con un potenziale grandissimo, non venga meglio valorizzata, disponendo per esempio in maniera sistematica segnaletica chiara e realizzando almeno qualche cartina o foglio informativo che spieghino a chi la percorre prima di tutto dove passare, e che descrivano inoltre le innumerevoli bellezze naturali, storiche e culturali che si trovano lungo tutta la vecchia tratta del treno.

Nonostante ciò è innegabile il fascino che questi 50 chilometri hanno su chi li percorre, facendone un’itinerario davvero unico nel suo genere. Per motivi logistico-famigliari ho percorso il tracciato in senso inverso, da Norcia (?) a Spoleto, in solitaria e senza GPS o mappa (che poi credo non esista nemmeno in forma ufficiale) e quindi inevitabilmente perdendomi più volte e facendo molta più strada del previsto.

Alla partenza da Norcia seguo i segni del sentiero CAI un po’ prima della vecchia stazione ma decido che la direzione indicata (Cascia) non fa per me e così mi ritrovo da subito a seguire un tratturo che mi riporta a breve sulla statale proprio davanti al “porchettaro”. E’ ancora presto per un panino e così chiedo solo indicazioni su dove riprendere il sentiero. Meno di due chilometri e sono pronto a riattraversare il torrente Sordo e tornare sulla pista dove ho anche un primo assaggio di un paio delle vecchie gallerie scavate nella roccia. Affascinanti.

Continuo seguendo il sentiero (qui è davvero difficile sbagliare) e mi preparo psicologicamente per affrontare l’asfalto che so essere non troppo lontano. Arrivo all’incrocio di Serravalle dove la ciclabile si interrompe. Attraverso la strada per cercare di riprenderla ma la via è chiusa da un carrello porta gommone, nei pressi del quale un gruppo di Rafting sta per prepararsi ad affrontare le rapide del fiume. Chiedo informazioni a uno degli accompagnatori e come sospettavo ho la conferma che è ora di lasciare la pace degli alberi e il dolce rumore del fiume che scorre per affrontare la statale. Gentilissimo, l’uomo mi indottrina per filo e per segno su tutti i possibili passaggi segreti attraverso i guard rail per evitare le gallerie, ma non potrei mai immagazzinare la miriade di indicazioni che mi vengono fornite nei dieci minuti in sua compagnia, così ringrazio e continuo, sperando di avere fissato in testa almeno le dritte più importanti che l’istinto sarà sicuramente (…) in grado di fare tornare in mente automaticamente, innescate da qualche elemento visivo di cui mi accorgerò al momento opportuno.

Una volta capito il trucco del guard rail e che ogni galleria stradale ha una stradina di servizio che gli gira attorno, riesco ad evitarle quasi tutte. Uno di queste stradine porta addirittura in una magnifica gola sul fiume Corno e a una galleria di servizio adibita a “fungaia”, con all’interno tanti teli di plastica che spenzolano dagli scaffali, dando a chi ha il coraggio di percorrerla un vero brivido horror.

fungaiaGalleria della Fungaia

Arrivo al centro Rafting nei pressi di Biselli felice di essere riuscito nell’impresa di aggiramento, e da li riprendo ancora la strada principale in attesa del prossimo ostacolo, cercando di ricordare le istruzioni dell’uomo del Rafting. Manco però la deviazione presso la grande casa sulla sinistra perchè vedo la recinzione completamente chiusa, non ricordando che si apre all’occorenza e che da li avrei potuto riprendere il percorso dei vecchi binari, così come non mi fido di proseguire all’uscita successiva sulla destra, dove lo sterrato mi sembra non avere alcuno sbocco logico, e mi ritrovo quindi imprecando prima su un lungo viadotto e poi dritto nella interminabile galleria di Triponzo. Pedalo a gran velocità in mezzo alle macchine fino a Borgo Cerreto dove chiedo indicazioni e mi viene detto di attraversare il fiume Nera e da li a me la scelta di andare verso Spoleto o verso Norcia. Come verso Norcia?? Mi sono perso una delle parti più belle dell’intero itinerario, non posso permettermelo e decido di tornare indietro lungo il percorso ciclabile. Altre gallerie nella roccia mi riportano al cospetto della Balza Tagliata, altra gola che davvero non può essere saltata. Esploro un paio di deviazioni e ritrovo la grande casa sulla statale con la recinzione chiusa, così sono soddisfatto e posso riprendere il mio viaggio verso Spoleto. Proprio tornando in prossimità della Balza Tagliata sono incuriosito da un cartello che indica il percorso della vecchia ferrovia in direzione di una strada quasi nascosta sul fianco della gola. Questa volta so bene da dove sono arrivato ma la curiosità di vedere dove porta la deviazione è irresistibile e seguo il segnale evidentemente sbagliato. La strada è terribile, piena di buche e di rovi, massi caduti ai lati per le frane ma è stranamente asfaltata e continua a salire sulla montagna. Il treno non poteva certo passare da qui ma continuo lo stesso e arrivo nel borgo di Triponzo. Entro in un bar/trattoria per una pausa e la proprietaria, non appena chiedo se da qui si possa riprendere il sentiero per la vecchia ferrovia si mostra molto scortese e mi tratta male, non capisco perchè. Ce l’ha con tutti, coi ciclisti che passano e non hanno idea di dove sono, coi politici che si sono presi tutti i soldi destinati alla ciclabile e con lo stato della strada che ho percorso e che scopro essere nientemeno che la vecchia statale Norcia-Cascia. Rimango una buona mezzora a chiacchierare con la signora Maria Pia e il rapporto si fa più che cordiale, e le prometto così che scriverò di questa strada, del suo abbandono e della inesattezza delle indicazioni, e di come la vecchia ferrovia non sia vista bene purtroppo nemmeno dagli stessi abitanti della zona. Mi regala anche una cartolina con l’immagine della vecchia strada, e come si può vedere nelle immagini qui sotto c’è una bella differenza dalla situazione attuale.

balzatagliataBalza Tagliata ieri

balzatagliata2Balza Tagliata oggi

Vecchia strada Cascia-Norcia

 

Scendo di nuovo verso Borgo Cerreto e da li la strada continua liscia liscia fino a Santa Anatolia di Narco. Si segue il fiume, in un paio di occasioni ho ancora qualche dubbio per la mancanza di segnali, ma per fortuna trovo sempre qualcuno che gentilmente mi indica la strada giusta.

Ero partito in tranquillità pensando di fare una passeggiata dopo i racconti dei miei amici che il giorno precedente avevano percorso la stessa strada in senso opposto. In realtà da S.Anatolia inizia la parte più bella del tracciato, ma anche la più impegnativa. Arrivato nel paese ancora una volta provo a proseguire da solo seguendo l’istinto ma per ben due volte sbaglio strada e devo tornare indietro. Così sono costretto ad andare di nuovo contro la mia naturale tendenza all’isolamento chiedendo indicazioni al bar, e scoprendo con mia grande sorpresa che il treno da qui andava veramente in salita, attraversando prima la statale su un ponte che non esiste più, e arrampicandosi poi sulla montagna. Un cartello porta a salire su un sentiero molto stretto che diventa mulattiera più avanti. Anche qui trovo solo qualche sparuto segno bianco-rosso a indicare la via e perciò riesco ancora una volta a sbagliare strada, finendo in una radura in prossimità di una galleria chiusa che doveva servire come deposito per la ferrovia. Torno indietro al bivio e prendo il sentiero giusto, anche se sembra il meno logico. Incrocio due ciclisti che mi rincuorano dicendo che Spoleto è a soli otto chilometri, ma in realtà scoprirò che è la salita da S. Anatolia a non mollare mai per otto chilometri, è adatta a un treno e quindi non è mai troppo ripida, ma nonostante ciò devo dire che mi ha impegnato non poco. Si attraversano diverse gallerie sempre totalmente al buio (alla fine in totale sono 19 lungo tutto il tracciato), c’è anche un meraviglioso viadotto sospeso nel vuoto che fa davvero pensare ai trenini della Svizzera, come dicono le “recensioni”. Si giunge infine al valico di Caprareccia, dove si deve attraversare l’omonima interminabile galleria, lunga quasi due chilometri, sempre nel buio più completo. All’interno fa freddo e percorrerla con la luce del fanale della bici e della frontale provoca un certo brivido, ma io procedo cantando a voce alta (tanto nessuno mi sente) e il mio canto rotto dalla fatica assieme al rumore delle ruote sui ciottoli, all’acqua che gocciola e alla penombra rendono l’atmosfera davvero unica.

La luce alla fine del tunnel corrisponde anche alla fine della scalata, visto da qui in poi è tutto facile, in discesa fino al centro di Spoleto, dove termina anche il mio piccolo e incantevole viaggio.

Lucio Magi – Giugno 2016

 

Su Flickr  altre foto scattate lungo il percorso

Flickr-icon

 

Vecchia Ferrovia Spoleto-Norcia.

Lunghezza 51km, 19 Gallerie.

Principali tappe: Norcia, Serravalle di Norcia, Biselli, Triponzo, Borgo Cerreto, Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, S.Anatolia di Narco, Valico di Caprareccia, Spoleto.

Maggiori info su:

https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrovia_Spoleto-Norcia

http://www.ferrovieabbandonate.it/linea_dismessa.php?id=154

 

Programma IndraTrek 2016

E’ pronto il Programma Ufficiale  delle Escursioni di IndraTrek per il periodo Gennaio-Giugno 2016 che può essere consultato a questo link.

Nelle prossime settimane seguiranno altri dettagli sulle escursioni (percorso, difficoltà, durata prevista, ecc.)

Per rendere più semplice il processo di interazione con quanti vorranno partecipare è stata inoltre aperta una pagina Facebook che sarà il canale ufficiale con cui verranno gestite tutte le comunicazioni più “veloci”, lasciando invece a questo sito ogni altro eventuale approfondimento.

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L’inaugurazione del programma è prevista per il 31 Gennaio 2016 con un percorso inedito all’Alpe della Luna.

programma_2016

Segnaletica CicloVia Francigena

SlowTravel Network ha dato via a un progetto di Crowd Funding per finanziare la posa della segnaletica sulla CicloVia Francigena.

E’ possibile contribuire con una donazione a partire da 5 euro per la produzione e posa di oltre 3000 segnavia sul tratto italiano (dal Colle del Gran San Bernardo a Roma) lungo oltre 1000 km.

Per informazioni

https://www.eppela.com/it/projects/6781-ciclovia-francigena

http://www.movimentolento.it/it/

http://www.viafrancigena.bike/it/

http://slowtravel.network/

slowtravelnetwork

Monte Petrano

Secchiano di Cagli 29/11/2015

Bel giro esplorativo sul “nuovo” sentiero CAI 74.
Nuovo perchè compare solo sulla carta più recente del Monte Catria e perchè è stato segnato abbastanza recentemente in tutto il suo sviluppo.

Il sentiero esplora il versante Ovest del Petrano, a picco sulla gola del Bosso, con belle vedute del massiccio del Nerone.

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Si parte da Secchiano di Cagli, poco prima del Bar/distributore davanti al mulino sul Bosso, dove c’è anche un piccolo parcheggio proprio di fianco all’imbocco del sentiero.
L’imbocco è segnato con un invito poco visibile sul guard rail e si presenta come una stradina sterrata in evidente salita proprio di fianco al corso d’acqua che scende dalla montagna.

Aggiornamento 5/12/2015: mi sento in dovere di riportare che solo una settimana dopo avere percorso il sentiero ora l’imbocco è molto ben segnalato con palo e tabelle proprio sulla strada di fronte al vecchio mulino.

Si risale il fosso per tutta la sua lunghezza, guadando alcune volte su entrambi i versanti e seguendo sempre gli evidenti segni bianco-rossi.

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Dopo l’ultimo attraversamento il sentiero si arrampica velocemente fino al pianetto in cui si trova la Presa dell’acquedotto. Siamo a circa 500 metri di altezza e incrociamo uno sterrato che proviene dalla strada principale che risale il Petrano.

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Qui i segni non sono proprio chiari ma occorre girare attorno al casottino in muratura e continuare lungo lo sterrato verso destra (Ovest), mentre se si prende a sinistra si sale appunto sulla strada principale.

Si segue lo sterrato in salita sempre all’interno del bosco (in questo tratto senza segnaletica), fino ad uscire in prossimità di un rudere (località Smirre, 678m di quota) e ritrovando anche i segni, alquanto “artistici” in verità..

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Proprio sopra Smirre abbiamo ancora la strada principale da cui scenderemo al ritorno. Questo è il punto infatti in cui si chiuderà l’anello del percorso. Per ora invece procediamo tenendo la destra e aggirando la montagna mantenendoci in quota fuori dal bosco. Dietro la parete lo scenario cambia notevolmente, diventando roccioso, una vera terrazza sopra il Bosso. Il sentiero procede sempre in aggiramento fino a rientrare dopo un paio di canaloni all’interno del bosco.

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Qui si continua lungo “l’alta via del Bosso” seguendo la gola dall’alto verso Ovest per un lungo tratto sempre tra gli alberi, con pendenze molto agevoli, fino a superare gli 800 metri di quota.

I segni puntano a sinistra verso la cima finchè un segno con due grosse pietre disposte a X mostra una deviazione decisa fuori dal bosco, mantenendosi sempre in quota e continuando ad aggirare la montagna fino a rientrare per un ultimo breve tratto tra gli alberi.

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Si sale sempre seguendo i segni che in questa parte molto spesso sono solo fettucce attaccate ai rami, finchè non si fuoriesce definitivamente dal bosco e si arriva sui prati sommitali del Petrano, di cui si vedono le antenne alla nostra destra.

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Attraversiamo i prati mantenendoci prima sulla sinistra per evitare un paio di canaloni e poi dirigendoci decisamente verso le antenne, dove ritroveremo la “civiltà”.

Prendiamo la strada che ci conduce a valle verso Cagli e la percorriamo fino ai 3 evidenti tornanti in fila. Proprio sul gomito dell’ultimo tornante si trova il rudere di Smirre, da cui possiamo riprendere il sentiero dell’andata fino al punto di partenza.

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Dati Tecnici
Dislivello totale circa 750m
Distanta totale circa 13km
Tempo di percorrenza circa 5h

Secchiano si raggiunge da Cagli (uscita Cagli Ovest se si proviene da Fano) seguendo la Provinciale 29 in direzione Pianello.

Traccia Wikiloc
http://www.wikiloc.com/wikiloc/view.do?id=11542821

Il Corridoio Bizantino

In viaggio nel Corridoio Bizantino, l’idea di un Cammino

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Vagando per alcuni degli angoli più nascosti della Provincia di Pesaro e Urbino ai confini con l’Umbria, può capitare con molta probabilità di addentrarsi, il più delle volte senza rendersene conto, in un territorio che dalla seconda metà del VI secolo dopo Cristo e fino alla fine del dominio Longobardo costituiva l’unico varco capace di unire i due principali centri di potere in Italia di ciò che rimaneva dello smembrato Impero Romano d’Occidente.
Stiamo parlando del Corridoio Bizantino, una striscia di terra che, attraversando Marche, Umbria e Lazio, univa Ravenna a Roma. L’antica Via Flaminia, percorso di collegamento preferenziale adottato durante i secoli precedenti, era infatti interrotta poichè la stretta Gola del Furlo, passaggio obbligato lungo l’arteria che collegava Rimini alla vecchia Capitale Imperiale, era sotto il controllo dei Longobardi. Si rendeva necessario quindi trovare un percorso alternativo che collegasse l’Esarcato di Ravenna e la Pentapoli Marittima (composta dalle città di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona) con Roma e per questa ragione il varco doveva passare attraverso molte regioni impervie, perlopiù montane e quindi ben difendibili, che i Longobardi non erano ancora riusciti a conquistare.

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Il Corridoio Bizantino

Questi ultimi avevano invaso l’Italia nel 568 d.C., dopo che la guerra contro i Goti per la riconquista delle terre un tempo appartenute all’Impero Romano d’Occidente aveva stremato le forze Bizantine. Per questa ragione e per il fatto che le truppe migliori erano state richiamate a Bisanzio e in Asia per combattere i Persiani e gli Avari, la sottomissione di buona parte della Penisola fu per i Longobardi relativamente facile. I Bizantini riuscirono a conservare sotto il loro dominio alcune zone costiere tra cui appunto l’Esarcato e la Pentapoli, oltre a gran parte del Lazio e dell’Italia Meridionale, ma i Longobardi estendevano la loro influenza nel Centro e nel Meridione attraverso i Ducati di Spoleto e Benevento, e l’Italia Continentale si trovava di fatto spaccata in due zone senza collegamento tra loro, fatta eccezione per il Corridoio Bizantino.

Nei territori di confine in cui transitava il Corridoio, come si può immaginare, viveva una varietà di popoli e culture sia autoctoni che stranieri giunti a traino delle orde barbariche, ognuno con i suoi usi e, soprattutto, con le sue Divinità e Santi Protettori.
Anche se il Cristianesimo si era ormai diffuso ovunque, dopo essere stato prima equiparato alle altre religioni da Costantino e in special modo dopo essere stato proclamato nel 380 d.C. unica religione di Stato dall’Imperatore Teodosio, nelle remote regioni del Corridoio Pesarese era ancora largamente praticato il Paganesimo, come dimostrano i tanti esempi di Chiese costruite in queste zone proprio sopra Are edificate in origine per l’adorazione di Giove o Apollo.
I Longobardi, che come molti altri popoli nordici erano in origine dediti al culto degli Asi di Thor e Odino, si erano avvicinati per convenienza al Cattolicesimo già prima della loro discesa in Italia, quando dovettero ingraziarsi proprio i Bizantini, loro alleati durante lo stanziamento in Pannonia (l’attuale Ungheria).
La decisione di invadere la penisola cambiò però le carte in tavola, e il re Longobardo Alboino decretò, per indispettire i Bizantini, di aderire invece a una delle Eresie condannate ufficialmente dal Concilio di Nicea, l’Arianesimo, che metteva Cristo su un livello inferiore rispetto al Padre negando di fatto la Trinità e che però guarda caso era anche la religione dei suoi principali potenziali alleati contro Ravenna, i Goti, che ancora contavano nonostante la sconfitta subita una buona presenza sul territorio.
Una volta in Italia i Longobardi si integrarono sempre di più con la popolazione locale, fino ad arrivare col tempo a una conversione massiva al Cattolicesimo. Proprio in questo processo di conversione finirono per adottare come Santi Protettori quelli che forse più assomigliavano alle loro antiche divinità e tra questi uno dei più importanti era certamente San Michele Arcangelo, che nella tradizione Cristiana aveva abbandonato Satana e difeso la Vera Fede con la sua spada, in cui i Longobardi riconoscevano molto probabilmente il Dio Odino.
Anche i Bizantini, antagonisti dei Longobardi, avevano naturalmente dei propri Santi Protettori ed erano in particolar modo devoti a San Martino di Tours, protettore della fede Cattolica da tutte le eresie, e in particolar modo proprio da quella degli Ariani contro cui si era impegnato di persona. A testimonianza dell’importanza del Santo l’odierna Basilica di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, che era sorta sotto il culto Ariano durante la conquista dei Goti, fu dedicata proprio a S. Martino dopo che i Bizantini ebbero ripreso possesso della città.

Partendo da questi presupposti storici, gli autori di una recente ricerca condotta in collaborazione con l’Università di Urbino dimostrano che è possibile individuare i confini del Corridoio Bizantino proprio dall’analisi dei toponimi dei luoghi e degli edifici religiosi presenti sul territorio. Troviamo così per esempio tanti casi di chiese consacrate e località con riferimenti a S. Michele Arcangelo da ricondurre alla dominazione Longobarda, così come evidentemente tutte le dediche a S. Martino vanno ricollegate invece ai Ravennati. In alcuni casi troviamo addirittura due Santi rivali, uno caro ai Longobardi e uno vicino ai Bizantini, a fronteggiarsi da chiese costruite l’una di fronte all’altra sui versanti opposti di una valle o di un fiume, proprio come se fossero stati loro i veri generali alla testa dei due eserciti avversari.

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San Michele Arcangelo dipinto da Guido Reni

Sulla base di questo lavoro possiamo provare allora a disegnare un itinerario di viaggio che, seguendo le tracce individuate dagli storici, ci porti alla scoperta di un tratto del Corridoio nella Provincia di Pesaro e Urbino e che, saltando tra zone Longobarde e Bizantine, ci conduca dal confine con l’Umbria seguendo i principali corsi fluviali fino alla Gola del Furlo e quindi al Mare Adriatico.
Il territorio su cui viaggeremo è sostanzialmente montuoso, in prossimità dell’estremità Nordoccidentale di due dorsali parallele alla costa, quella Umbro-Marchigiana e quella propriamente Marchigiana. La prima corre ai confini tra Marche e Umbria e comprende tra le vette principali i monti Catria, Nerone e Petrano, mentre le montagne che formano la Gola del Furlo (Pietralata e Paganuccio) appartengono alla Dorsale Marchigiana.
I fiumi principali scorrono invece perpendicolarmente alle catene montuose, creando a volte strette gole e a volte vallate più ampie. Il fiume Burano, il primo che incontreremo lungo il nostro percorso, nasce in Umbria e da qui, dopo aver attraversato la prima delle due dorsali, arriva nella città di Cagli. Continuando nella sua corsa verso il mare diventa affluente di un altro fiume, il Candigliano, anch’esso proveniente dall’Umbria, che a sua volta dopo avere tagliato come un rasoio l’anticlinale della seconda dorsale e aver formato così la Gola del Furlo, si getta nel più celebre fiume Metauro.

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Il percorso della Via Flaminia

Partiamo dunque da Pontericcioli, che si trova proprio lungo il corso del fiume Burano al confine della Provincia di Pesaro-Urbino, e che fu un’antica città Umbra successivamente conquistata dai Romani e diventata col tempo un importante centro di transito lungo la Via Flaminia. Pontericcioli si raggiunge da Fano seguendo la superstrada verso Fossombrone e Cagli, oppure da Gubbio e Scheggia se si proviene da Roma lungo la vecchia Flaminia. Oggi è un piccolo centro, che si fa notare per il Ponte Grosso di epoca Romana e per la sua possibile identificazione con l’importante municipio Romano di Luceoli istituito nel I secolo avanti Cristo. Già da qui studiando le tracce toponomastiche vediamo che l’alta vallata del Burano era sotto il controllo Ravennate e lo capiamo proprio da alcuni riferimenti a un’altra importante figura molto legata ai Bizantini, che si dice fu diretto discepolo di San Pietro e primo Vescovo di Ravenna, Sant’Apollinare.
Oltre il monte Petria, posizionato di fronte al più noto Catria e che separa Pontericcioli dalla frazione di Chiaserna, le cose erano ben diverse. La Chiesa di S. Anastasia nel centro del paese (Anastasia era una figura cara ai Goti, essendo riconducibile al culto della Resurrezione o Anastasis) e l’Abbazia di S. Angelo, che si trova nei pressi dell’abitato lungo la valle del torrente Bevano, ci indicano molto chiaramente che questa vallata era abitata da popoli di origini Barbare.
Procedendo verso Nord arriviamo così nel borgo di Cantiano, che si trova proprio al crocevia tra la “via Bizantina” lungo la valle del Burano e quella Longobarda proveniente da Chiaserna, e da qui proseguiamo per la frazione di Moria, paesino inerpicato sul versante Sud Ovest del Monte Petrano, dove ritroviamo un’altra Chiesa dedicata a S. Apollinare. A poca distanza, tra i due piccoli centri abitati di Caimarini e Caimercati, troviamo anche una località ancora oggi nota come Colle di S. Martino e questi evidenti riferimenti a Santi Bizantini ci fanno capire che il Corridoio passava proprio da qui. Il Monte Petrano era stato infatti fortificato in modo massivo dai Ravennati, anche se oggi ormai non ritroviamo che pochi resti di questo possente sistema difensivo a protezione della Flaminia e di Luceoli.

Guardando ancora a Nord, sul versante opposto di un altro affluente del Burano, il torrente Bosso (famoso per la sua gola e il suo museo geologico a cielo aperto), si innalza un altro importante massiccio montuoso della zona, il Monte Nerone, che era invece strenuamente presidiato dalle truppe longobarde come dimostrano le chiese dedicate a S. Michele Arcangelo di Cerreto e Fosto. Il primo è un piccolo centro che si raggiunge dal borgo di Pianello dirigendosi verso la cima del Nerone, il secondo è altrettanto piccolo ma si raggiunge dalla strada di collegamento che dall’abitato di Secchiano conduce verso Piobbico. Il Nerone sembra essere stato meno militarizzato con torri e castelli rispetto al Petrano, ma la cosa può verosimilmente essere spiegata col semplice fatto che i Longobardi erano comunque in maggioranza e non dovevano controllare uno stretto passaggio attraverso gli schieramenti nemici come invece erano costretti a fare i loro rivali.

Lasciamo la zona di influenza Longobarda e continuiamo a seguire il nostro varco che da Moria ci porta sulla cima del Petrano e, seguendo il suo dolce profilo e attraversando i pascoli sommitali, ci porta a ridiscendere dal versante opposto proprio nei pressi di Cagli.
Questa importante cittadina, pur essendo stato un caposaldo della difesa Bizantina, pullula di riferimenti Longobardi. Ritroviamo infatti oltre al “solito” S. Michele Arcangelo (diventato tra l’altro curiosamente anche parte dello stemma della città dopo che questa venne ricostruita e ribattezzata Sant’Angelo Papale da Papa Niccolò VI alla fine del 1200) anche riferimenti ad altre figure care ai Longobardi, come San Savino. Anche la gola del Bosso, che proprio a Cagli si unisce al Burano, era interdetta ai Ravennati, come dimostra la località di Ponte Staffolino (termine derivante dal tedesco antico “staffal”, cioè palo), così come non si poteva passare neppure dalla strettoia formata dal Burano tra il monte Tenetra e il Petrano. Sembra che Cagli (o Callis come veniva chiamata allora) fosse letteralmente circondata dai Longobardi ed è difficile qui intuire il passaggio di un varco tra le loro schiere. Seguendo però i nostri ormai amici toponimi, gli studiosi hanno rilevato un passaggio che scende dal Monte Petrano sulla Strada Flaminia poco fuori dalla cittadina, in direzione di Luceoli. Da qui si guadava molto probabilmente il Burano sulla riva destra aggirando i Longobardi stanziati attorno a Cagli per poi, nei pressi dell’abitato di Smirra, tornare sulla riva opposta.
La via proseguiva così fino a un altro importante caposaldo ormai scomparso ma protagonista di molto testimonianze, il Castrum di San Martino, che proteggeva la strada verso Fermignano, importante cittadina nella valle del Metauro. Dopo avere aggirato la Gola del Furlo si poteva così entrare nelle terre del Montefeltro (più tranquille e lontane dai confini coi Longobardi) per raggiungere Urbino e quindi Rimini.

Questo non era però l’unico percorso sicuro per i viaggiatori. Lo studio toponomastico porta infatti a pensare che vi fossero altri varchi attraverso gli eserciti longobardi e che esistessero diverse diramazioni del Corridoio. Tornando all’inizio del nostro viaggio per esempio, nella valle di Cantiano, vi sono tracce evidenti di un passaggio che dalla Pieve di S. Crescentino presso Balbano (risalente agli albori del Cristianesimo e famosa per conservare all’interno affreschi di notevole valore storico e artistico) svalicava verso un altro centro molto importante nella zona, Apecchio, aggirando così le truppe nemiche di stanza sul Nerone.
Scendendo più a valle invece, dopo il Furlo, se anzichè dirigersi a Rimini si era intenzionati a proseguire verso la più vicina componente della Pentapoli, Fano, si doveva forzatamente deviare passando dai centri abitati di Calmazzo e Canavaccio per poi seguire ancora la Flaminia fino appunto all’antica Fanum Fortunae. Interessante è notare come proprio in prossimità di Calmazzo esistesse una zona franca identificata nei pressi di S. Bartolomeo di Gaifa (Gaifa deriva dal termine longobardo waifa che significa “terra che non appartiene a nessuno”), cioè una zona in cui molto probabilmente per interesse comune o accordo tra le parti non si combatteva.

In tempi di sempre maggiore sviluppo del turismo lento e di nascita di percorsi sempre nuovi, credo che quella di progettare una via a tappe lungo il Corridoio Bizantino potrebbe rappresentare un’idea molto stimolante da mettere in pratica.
Ovviamente stiamo parlando di un’idea di itinerario abbastanza diverso da quelli proposti lungo le Vie Sacre e sorti spesso a traino del Cammino “maestro” di Santiago, ma credo che questo non renderebbe di certo il viaggio meno affascinante.
Non parliamo infatti di incamminarsi lungo una via di Pellegrinaggio penitenziale o devozionale ma di un percorso su un antico passaggio attraverso il quale per secoli sono transitati forzatamente a causa della guerra truppe e civili, lasciando testimonianze, costruendo fortezze e borghi e modificando in modo permanente la cultura e le tradizioni locali, e che come tale non può che offrire a un potenziale viaggiatore che voglia ripercorrerla oggi una miriade di contenuti e di spunti storici e religiosi, culturali e artistici, naturalistici e paesaggistici.
Non vanno dimenticate inoltre, sempre in un ipotetico viaggio slow in questo meravigliosa porzione di territorio nella Provincia di Pesaro-Urbino (sono di parte lo so..), le “terre nemiche” occupate dai Longobardi, che non sarebbero certo da meno rispetto a quelle Bizantine e meriterebbero sicuramente interessanti deviazioni e approfondimenti.
Quella che al tempo era la pericolosissima Gola del Furlo è infatti diventata oggi Riserva Naturale Statale, con tutta la sua bellezza e ricchezza che da sola meriterebbe il viaggio, così come i temibili bastioni Longobardi del Monte Nerone sono ora regolarmente occupati da escursionisti, ciclisti e rocciatori.
Per il momento comunque l’idea del Cammino sul Corridoio Bizantino rimane tale ed è possibile percorrere il nostro itinerario solo seguendo le tracce toponomastiche e non quelle dei segnavia. Possiamo per ora solo cercare di stuzzicare la curiosità e lo spirito avventuroso di chi vorrà provare a seguire i passi di un viaggiatore che nel VII secolo d.C. avesse cercato di arrivare da Roma all’Adriatico o viceversa, ma l’intenzione naturalmente rimane quella di riuscire a sviluppare l’idea ulteriormente nel prossimo futuro iniziando, perchè no, dalla realizzazione e pubblicazione di altri articoli con i segmenti del nostro potenziale Cammino raccontati in tutti i loro dettagli.

Per chi volesse approfondire i contenuti storici, geografici e toponomastici del Corridoio Bizantino e del territorio attraversato in Provincia di Pesaro e Urbino è da non perdere il libro da cui ho preso spunto per questo articolo e da cui vengono tutte le informazioni toponomastiche riportate. “Il Corridoio Bizantino al confine tra Marche e Umbria” è stato pubblicato nel 2014 ed è il risultato della ricerca approfondita e appassionata condotta dagli autori Giuseppe Dromedari, Gabriele Presciutti e Maurizio Presciutti, ai quali va un grazie tutto particolare.
Sul loro blog Ver Sacrum è possibile seguire gli aggiornamenti sulle ricerche all’interno del Corridoio, oltre che trovare molte notizie interessanti sulla storia e sulla cultura locale.

Lucio Magi – Ottobre 2015

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Valfucina-M. Faldobono-Elcito

Elcito 4/10/2015

Questo percorso permette di avere una bella panoramica generale sull’area della Riserva Regionale di Monte S. Vicino e Canfaito.

Si parte dall’Abbazia di Valfucina (750m), nelle vicinanze del borgo di Elcito (dove abbiamo parcheggiato le auto).
Valfucina era un potente monastero fondato probabilmente nei primi anni del XI secolo, che raggiunse l’apice dell’attività tra il 1227 e il 1236 quando estese le sue proprietà fino a Numana e Camerino. Secondo gli storici all’interno dell’Abbazia era presente anche una biblioteca.
Verso la metà del XIII secolo tutti i monasteri benedettini iniziarono un’opera di “riduzione dei costi” accorpando strutture per la il sempre minor numero di monaci e anche Valfucina accusò la crisi. Il suo ultimo abate resse il monastero fino al 1483.
L’abbazia è stata distrutta dal terremoto del 1799 e quella che si vede oggi è dei primi anni del 1800. E’ rimasta intatta solo la cripta, romanica.
Il castello di Elcito fu costruito probabilmente nel XII secolo a difesa di Valfucina e deve il suo nome ai boschi di leccio (“lecceto”).

Un grazie particolare a chi si è preso cura della segnaletica della zona. Fa veramente la differenza quando si percorrrono dei sentieri in perfetto stato come quelli che abbiamo trovato qui.

Seguendo il facile sentiero 209 che si inoltra lungo il fosso di Campocavallo si incontrano soprattutto roverelle, carpini, biancospini, noccioli e aceri. La salita è gradevole, non troppo ripida, e all’aumentare della quota aumenta il numero di faggi.

Si sale fino al Monumento di Canfaito (1079m), uscendo dal bosco e incontrando la strada che sale da Elcito e che continua attorno al S. Vicino fino a Pian dell’Elmo.

Facciamo una rapida deviazione sul piano di Canfaito per vedere i faggi monumentali, ci fermiamo per una sosta e continuiamo poi lungo il sentiero 165. Dal Monumento si prosegue per un breve tratto lungo la strada verso Pian dell’Elmo e quindi si prende a destra arrampicandosi sul pendio, seguendo il segno bianco-rosso e la freccia indicatrice.

Si attraversano le creste del Monte Forcella e Faldobono (1276m), dalla cima dei quali si gode di un vasto panorama che va dalla Gola della Rossa giù fino ai Sibillini e Gran Sasso, passando per le montagne di Esanatoglia. Lungo il percorso scorgiamo qualche Sorbo Montano.

Sempre seguendo gli impeccabili segni bianco-rossi si scende rientrando nel bosco dal versante NE del Monte S. Vicinello, seguendo quasi di continuo una recinzione di filo spinato.
All’uscita del bosco perdiamo i segni ma seguiamo l’evidente traccia che scende ancora verso la nostra destra seguendo il fosso attraverso il bosco e che ci porterà, dopo avere reincontrato i segni più avanti, alla fonte dei Trocchi di S. Vicino.

Passiamo il fosso e continuiamo all’interno del bosco fino a reincrociare la strada che ci riporterà a Elcito. Abbiamo scelto di proseguire sulla strada nell’ultimo tratto, ma in alternativa è possibile rientrare a Elcito dal sentiero che attraversa il Monte La Pereta e scende direttamente tra le rocce del borgo.

Dati Tecnici
Dislivello totale 643m
Distanta totale 13,82km
Tempo di percorrenza 6h

Elcito si raggiunge percorrendo la SP2 che unisce Apiro a San Severino Marche. Si raggiunge la frazione di Castel S. Pietro, dove si imbocca la strada che sale per circa 5km fino al borgo.

Tracce
Percorso ideato originalmente

http://it.wikiloc.com/wikiloc/view.do?id=10800500

Percorso reale, saltando la vetta del San Vicino e aggiungendo Canfaito

http://it.wikiloc.com/wikiloc/view.do?id=11003358

Alcune foto sono disponibili su Flickr

Appuntamento alla prossima uscita!

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