Qui di seguito le due interpretazioni (mia e di Luca) dell’avventura in Majella ascendendo il Monte Amaro, o “monte senza zucchero” come mi sono divertito a chiamarlo per mio figlio.
Su Flickr alcune foto, scattate questa volta con una compatta quindi la qualità non è la solita, ma lo zaino era davvero pesante quindi non c’era molta scelta.
Su Wikiloc la traccia del percorso presa con il mio localizzatore GPS SPOT, quindi anche qui la precisione non è perfetta, ma anche questa volta “Salvatore” (come lo chiamiamo noi) ha fatto il suo dovere, facendo stare tranquilli (quasi..) tutti a casa.
Lucio
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La vista dall’alto del canalone della Rava del Ferro non promette niente di buono, siamo già scesi diverse centinaia di metri ma la strada verso il fondo è ancora molto, molto lunga..
I chili dello zaino si fanno sentire sulle spalle e anche le ginocchia cominciano a dare qualche segno di stanchezza, rendendo l’avanzare sui ciottoli molto faticoso sia fisicamente che mentalmente. Bisogna fermarsi spesso, togliere lo zaino ogni tanto e rimanere sempre positivi, piano piano il fondo valle arriverà.
Questo bellissimo canyon di roccia e sassi (Rava come lo chiamano da queste parti) scorre tra enormi pareti e balze verticali. Il sentiero in pratica non esiste e in alcuni punti si deve sciare letteralmente sui sassi per scendere. Di certo la mancanza di una pista tra la ghiaia e le pietre mobili rendono il paesaggio naturale solo più bello ma non per questo la fatica si fa sentire di meno. Bisogna stare li con la testa per evitare di cadere e farsi male. Con mia grande sorpresa incrociamo anche due gruppi che risalgono la Rava in senso opposto al nostro. Credevo che nessuno fosse così matto da avventurarsi verso la cima passando da qui col caldo pomeridiano (forse sono davvero stanco..), inoltre hanno stuoie e sacchi a pelo e di certo contano di passare un sabato sera alternativo al Bivacco Pelino. Certo che bisogna anche ringraziarla la fatica perché ogni volta che ci si ferma non si può fare a meno di venire rapiti dalla bellezza del luogo. Se non ci si fermasse così spesso si perderebbe molto dei fiori cha saltano fuori improvvisamente dalle rocce e dei piccoli boschetti di pino mugo.
La discesa nella Rava è stato sicuramente la parte più impegnativa di tutto il nostro itinerario attorno al versante Ovest della Majella Madre, peraltro veramente spettacolare.
L’idea del giro in Majella era venuta per cercare di ripetere l’esperienza fatta dai nostri amici Claudio e Roberto lo scorso anno partendo da Fara San Martino, ma dopo la “mazzata” che ci hanno raccontato decidiamo di fare qualcosa di meno duro, un itinerario che ci permetta di dormire in tenda un paio di notti ma che ci faccia anche gustare senza soffrire troppo questa fantastica montagna. Io trovo qualche spunto e Luca come al solito si getta alla ricerca di informazioni preziose sui social e sul web. Alla fine mettiamo assieme i risultati e decidiamo l’itinerario, anche se nessun altro dei nostri si convince a venire per paura soprattutto del caldo e della mancanza di acqua in alto. Noi non molliamo e alla fine, pur non essendo una passeggiata perché sono comunque 2000 metri di dislivello per oltre 20 chilometri di cammino, devo dire che siamo fortunati e anche bravi nell’organizzare la logistica, fidandoci soprattutto dei consigli di chi qui è di casa, e alla fine tutto riesce (quasi..) alla perfezione.
Partiamo nel primo pomeriggio da Fonte Nunzio, nei pressi di Campo di Giove, sapendo di dover fare solo un breve tratto in salita (circa 600 metri di dislivello per pochi chilometri) per poter così “saggiare” gli zaini e il peso durante il cammino. Attraversiamo il bosco fino alla Fonte dell’Orso, dove sappiamo esserci acqua e ci fermiamo poco più in alto, nel piccolo altopiano che rappresenta l’unica area pianeggiante lungo tutta la salita, dove montiamo le tende. Incontriamo qui di nuovo i nostri unici compagni di salita, un gruppo di ragazzi olandesi in viaggio attraverso l’Italia con tanto di furgone e rimorchio, che decidono di passare la notte in cima all’Amaro. Sono partiti tardi per la cima, alcuni sono in pantaloni corti, maglietta e sandali e un pochino ci preoccupiamo per loro, ma non sembrano farsi tanti problemi. Appena piantata la tenda sopra di noi il cielo si rannuvola decisamente (poveri olandesi) e anche nella valle sottostante l’aria si addensa molto. Ci gustiamo lo spettacolo dal nostro spazio privilegiato mentre mangiamo la nostra “cena di pesce” su una roccia. Le nuvole a tratti salgono verso di noi, ci coprono per un attimo per poi scomparire di nuovo, sopra è tutto nero e non sappiamo se sta piovendo, mentre nella valle il mare di nubi si espande e si ritira. Per completare lo spettacolo proprio di fronte il Monte Mileto lascia passare gli ultimi raggi del sole al tramonto tra le nuvole.
La notte in tenda dormo sempre poco e in più ogni tanto mi sembra anche di avvertire la presenza di qualche animale incuriosito, ma forse è solo il vento che muove i lembi della tenda fissati in modo non proprio professionale. Il mattino siamo comunque riposati e abbastanza in forma, fa abbastanza freddo e dopo una colazione veloce scendiamo verso la fonte a fare rifornimento d’acqua, visto che non la troveremo più fino a sera. Iniziamo così la parte più dura della scalata verso la cima dell’Amaro, il clima è ideale, fresco visto che c’è ancora la montagna che ci copre dal sole, e così riusciamo in un paio d’ore ad affrontare la parte più ripida fino al Fondo di Femmina Morta. Ci riposiamo un po’ e incontriamo i nostri amici olandesi che rientrano al loro furgone per continuare, ci dicono, fino a Venezia e alle Dolomiti. Hanno passato la notte nella Grotta Canosa perché dicono che il bivacco non era in condizioni molto ospitali. Il paesaggio quassù a 2500 metri è spettrale, sembra solo un immenso deposito di ciottoli e pietra con il grigio che domina su tutto, ma guardando bene si vedono spuntare tantissimi fiori di ogni tipo e colore dappertutto. Percorriamo tutta la Valle glaciale di Femmina Morta su terreno quasi pianeggiante e presto compare sullo sfondo il Monte Amaro, con il caratteristico puntino rosso del Bivacco Pelino appoggiato proprio vicino alla sommità.
Si è immersi in un panorama e un’atmosfera davvero particolari, non mi viene in mente nessuna somiglianza ad altre montagne che conosco. Finito l’altopiano la vista può spaziare verso Est sulla valle di Fara e sui monti vicini (Rotondo, Pomilio, S. Angelo) che invece a tratti mi ricordano stranamente il Wadi Rum o il deserto dell’ovest americano. Saliamo in cima, c’è ancora qualche chiazza di neve a dimostrare che il caldo che tanto si temeva non c’è proprio. La brezza da nord ci ha accompagnato per tutto l’altopiano e per l’ultima parte di salita, rendendo il cammino davvero piacevole. Il bivacco Pelino fa scena da lontano ma da vicino non è un gran che. Soprattutto le condizioni all’interno sono abbastanza tristi, non capisco proprio come chi faccia tanta fatica a portare fin quassù bottiglie di plastica piene d’acqua da 2 litri poi non trovi la forza per riportarle indietro vuote.. Si vede che la vetta è molto frequentata, ci si arriva da più versanti e dal rifugio Pomilio, e avendo questo appoggio del bivacco molta gente viene qui a passare la notte, ma un rifugio di emergenza non può essere adibito a discarica , è davvero vergognoso.
Con l’avanzare della giornata le nuvole si addensano ancora, non c’è più l’azzurro totale del mattino. Pranziamo di fianco al bivacco e quindi iniziamo la discesa alla ricerca del bivio per la Rava del Ferro. Finora è stato tutto perfetto, segni rifatti da poco su tutti i sentieri e le carte che ho, seppur vecchie di qualche anno, sono fedeli. Qui però i pur bravissimi responsabili della segnaletica del parco ci giocano uno scherzetto, decidendo di “rinominare” un paio di sentieri con sigle precedentemente appartenute ad altri percorsi. Ci troviamo quindi al nostro incrocio ma la segnaletica indica B5 e non B7 come nella mia carta e nessun segnavia indica la direzione della Rava del Ferro. OK ci può stare la mancanza del cartello, peccato però che nella mia carta (ufficiale del Parco) il B5 è il sentiero che porta sulla cresta del Pesco Falcone, e quindi penso che siamo andati troppo avanti, non abbiamo visto la svolta. Torniamo indietro immersi nelle nuvole che non rendono certo la ricerca facile e perdiamo quasi un’ora fino ad arrivare alla conclusione (grazie soprattutto al GPS di Luca) che l’incrocio che avevamo trovato in prima battuta era quello giusto..
Alla fine del canalone della Rava del Ferro (oltre 3 ore di discesa) si arriva a una strada chiusa. Il nostro piano è di raggiungere il rifugio della Fonte della Chiesa dove sappiamo esserci acqua e dove abbiamo intenzione di fermarci per la notte, ma un gentilissimo motociclista ci indirizza invece verso la Fonte della Lama Bianca, una radura fatata dove piantiamo (si fa per dire, visto che i sassi del sottofondo non sono proprio d’accordo a farsi infilare dai picchetti) senza indugio le tende, immersi nel silenzio della faggeta.
Dopo cena rimane ancora un po’ di tempo prima di crollare per studiare il percorso finale per l’indomani. Tagliando attraverso il bosco arriviamo così al sentiero per il Passo di S. Leonardo, da dove con pochi chilometri di strada torniamo al punto di partenza per chiudere questo magnifico anello.
Lucio Magi – Agosto 2016
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Di sicuro è stata la mia prima avventurosa (wild): stare tre giorni in montagna, camminare su valli, cime e boschi dormendo due notti in tenda non lo avevo mai fatto, eppure non era la prima volta, non saprei il perché forse perché in montagna ci sono spesso, forse per il ricordo di quelle poche volte che da ragazzino ho dormito nella tenda, oppure perché è una cosa che mi ha sempre attirato e sento dentro e l’avventura in Majella è solo la sua estrinsecazione. Non saprei dirlo meglio di così cioè la prima volta ma che lo avevo già fatto tantissime altre volte.
Siamo partiti la mattina poco dopo le 8, Lucio saluta affettuosamente i suoi figli, gioca scherza e saliamo in macchina, non sapevamo nulla di cosa avremmo trovato, il percorso ovviamente lo abbiamo guardato nella carta, studiato le fonti di acqua, ma fino a quando non sei li non lo sai! E noi due non eravamo mai stati in Majella, la nostra meta il monte Amaro, come ha detto Lucio a Bisti il monte senza zucchero!
Arriviamo a Pacentro, molto bello e meriterebbe una visita, ma noi ci mangiamo un bel piatto di pasta, e poi via a prendere il sentiero, il P5 da fonte nunzio per arrivare fino alla fonte dell’orso e piantare le tende poco sopra a 1800 metri!
Apriamo due scatolette per cena e ci gustiamo il panorama! Osserviamo e cerchiamo di capire come si muovono le nuvole, sembra quasi che quello che abbiamo studiato lo possiamo finalmente vedere, chiacchieriamo e intorno le 21, 30, dopo il bellissimo tramonto sul Gran Sasso, si va a dormire.
Soffro un po’ il freddo ma tutto sommato riesco a fare delle ore di sonno, alle 5 ci si sveglia si fa colazione, si va a prendere l’acqua alla fonte dell’orso e via zaino in spalle (non l’ho pesato ma leggero non era). Ci si incammina verso la forchetta della Majella, incrociamo il P1 e via si sale e ci si riposa, è presto siamo ad ovest quindi il sole ancora non ci raggiunge! Avanziamo verso la valle della femmina morta, fino a vedere quell’astronave (come qualcuno l’ha definito) arancione ossia il Pelino! arriviamo alla grotta Canosa, per fare l’ennesima pausa, con lo zaino distruggo un omino che poi ricostruiamo e via l’ultimo sforzo fino ala cima del Monte Amaro, il Monte senza zucchero.
Inutile dire che il paesaggio è spettacolare ed originale!
Dopo aver mangiato i nostri panini ci mettiamo in cammino per scendere a valle, un po’ di incertezze per trovare la Rava del Ferro, a causa di una vecchia carta con numerazioni non più corrispondenti alla segnaletica, ma presto si comincia a scendere e presto ci siamo accorti di che tipo di discesa fosse e di quanto ancora dovessimo faticare. 1500m di discesa su rocce, ghiaione non sono uno scherzo soprattutto con quei kili sulle spalle! Però arriviamo in fondo, fino alla Lama Bianca!
Desideravo una fonte, sapevamo che c’erano diverse fonti, ma non sapevamo che quando saremmo arrivati li la forza per cercare quella che buttasse l’acqua non c’era! Grazie alle indicazioni di un motociclista siamo arrivati presto alla fonte della lama bianca o meglio Persechillo! Abbiamo bevuto, ci siamo rinfrescati e abbiamo pernottato. La seconda notte è andata meglio, non era freddo ed eravamo in una faggeta meravigliosa, un letto di foglie.
Il terzo ed ultimo giorno abbiamo proseguito verso SUD, indicazione regalataci dal tramonto della sera prima, attraversando il bosco con l’aiuto della carta e GPS per andare a prendere il sentiero Q1 che ci avrebbe condotti attraverso dei pratoni sulla strada poco prima di dove avevamo parcheggiato l’auto.
Era la prima volta che facevo una cosa che ho sempre fatto.
Luca Bragina – Agosto 2016