GIOVANNI SANTE BRANCORSINI IL TAUMATURGO, OVVERO IL BEATO SANTE
Il Santuario del Beato Sante è conosciuto da tutti gli abitanti della provincia di Pesaro e Urbino e non solo. Ricordo quando ero bambino che alcune domeniche, o nei giorni festivi come il primo di maggio, mio nonno “Bertino” organizzava dei pic-nic, era bellissimo andare in quel bosco con tavolini e seggiole portatili e tutti insieme pranzare li! Ricordo quel bottiglione di vino rosso di cui ancora ne ignoravo gli aromi.
Al Santuario del Beato Sante poi ci sono tornato spesso da adulto, per delle merende più che motivi religiosi, e sebbene qualche visita al Santuario l’abbia fatta, nulla sapevo su chi fosse il Beato Sante.
Il colle su cui è situato il santuario, dista da Pesaro circa 15Km, esso sovrasta Monte Giano e fa parte del comune di Mombaroccio, da cui dista un paio di chilometri.
Il primo convento, associato ad una chiesetta preesistente, chiamata Santa Maria di Scotaneto, fu fondato nel 1223, pare a seguito di richieste degli abitanti di Mombaroccio e Montegiano a San Francesco di avere una comunità di frati Francescani.
Nel 1343 a Monte Fabbri (Urbino) nacque Giovanni Sante Brancorsini, figlio di Domenico ed Eleonora Ruggeri.
Era di famiglia nobile e per lui era stata prevista una carriera giuridico-militare, alla quale egli non si volle rassegnare, seguendo invece il suo spirito contemplativo.
Una sera di primavera quando Giansante aveva circa 20 anni, come tante altre sere stava con i suoi amici sulle mura di Monte Fabbri e per far da paciere in una lite fra due amici, richiamò il suo migliore amico. L’amico però interpretò questa presa di posizione come un complotto e si adirò con Giansante, che fuggì dirigendosi verso casa. L’amico però sfoderò la sua spada e volle a tutti i costi affrontare Giansante, che nel combattimento ferì alla coscia sinistra l’amico tanto amato, che morì pochi giorni dopo.
Dopo qualche giorno di meditazione, Giansante decise di andare presso l’eremo di Santa Maria di Scotaneto per entrare a far parte dei Frati minori. Il suo desiderio era quello di espiare la colpa di aver ucciso il suo miglior amico e dopo un periodo di prova fu accolto e prese i voti, ma non il intraprese il sacerdozio, dedicandosi così a vita umile. Egli voleva essere il minore dei minori, tanto che Giansante, il futuro Beato Sante, si occupava della cucina, tagliava la legna nel bosco, spesso andava nella vicina Mombaroccio a chiedere l’elemosina e racimolare del pane da portare al convento. I viaggi del Beato Sante accompagnato dal suo asinello che portava le sacche ricordavano molto il Santo fondatore dei francescani; così come anche altri aspetti della sua vita. Il Beato Sante scelse di vivere in totale povertà, spesso si nutriva di sole erbe.
Viveva momenti di estasi, in particolare in seguito all’eucarestia, quando compariva una luce intensa. A volte si flagellava e diceva che bisognava colpire più parti del corpo e non sempre la stessa, perché Gesù fu colpito in tutto il corpo.
Il Beato Sante invocava Dio di fargli patire la stessa pena di cui morì il suo grande amico, fu così che gli vennero le stigmate, esattamente una ferita nella coscia sinistra. Spesso i dolori erano così lancinanti che non riusciva a camminare.
Si racconta che gli animali e le piante obbedivano al beato Sante! Basti ricordare la quercia che produceva le ghiande con il segno della croce.
Oggi nel luogo in cui si trovava la quercia santa c’è una lapide che la ricorda.
Lapide nel luogo in cui visse per diversi secoli la Quercia Santa
Altro episodio che merita di essere ricordato è quello delle ciliegie. Durante la sua ultima notte, notte molto sofferta, i fratelli che lo curavano gli chiesero che cosa desiderasse mangiare, lui chiese delle ciliegie. Anche se era pieno inverno, ordinò ai suoi confratelli di uscire a prendere delle ciliegie e così fu fatto. Trenta ossi di ciliegia infatti sono stati messi nella sua tomba insieme a degli unguenti che usava per curarsi le piaghe ed altri oggetti.
Un mattino il futuro Beato trovò l’asinello che usava per trasportare le sacche o la legna, ucciso da un lupo. Il lupo era ancora nei paraggi, gironzolava nella selva, così Giansante ordinò al lupo di svolgere il lavoro che prima svolgeva l’asino, e la bestia divenne il compagno che portava la legna o le sacche.
Scultura in legno in cui è rappresentato il Beato Sante con la croce in una mano, il sole nel petto (simbolo del miracolo dell’eucarestia) e il lupo
Naturalmente il Beato Sante compì anche dei miracoli di guarigione di diversi ammalati.
Nel 1394 la ferita si aggravò fino a portarlo alla morte, si narra che lui stesso aveva previsto che sarebbe morto dopo 15 giorni.
Diversi furono i prodigi anche dopo la morte. Il primo fu la prima fiaccola che lui stesso accese nel cielo sopra il campanile del convento, proprio nel momento in cui spirò.
Ci furono diverse discussioni su dove seppellire il corpo di Giovanni Sante, se in una fossa comune oppure se dovesse essere posto in una tomba individuale come usava per i santi. Fu un giglio nato in inverno dal cuore di Giovanni Sante a testimoniare con la sua presenza e il suo profumo dove e come doveva essere trattato il corpo del futuro Santo.
Fu nel 1423 che il convento fu intitolato al Beato Sante, così come oggi tutti noi lo conosciamo, e vediamo indicato dagli appositi cartelli marroni.
Nel 1700 il convento fu rimaneggiato totalmente ed oggi non sappiamo più nulla o molto poco di che cosa rimane della parte originaria. E’ possibile che il frate che vive nella cella appartenuta al Beato Sante neanche lo sappia.
Così come non sappiamo più nulla della tomba del Beato Sante ed il suo corpo.
Un mistero. Sembra quasi che come la sua vita sia avvolta dal mistero così sia, e resterà, anche la sua scomparsa, come a sancire un mistero senza possibilità di soluzione.
Luca Bragina Maggio 2016