Ladakh
Diario di viaggio (di Lucio Magi, Gennaio 2008)
Una volta raggiunto il passo tutto si vede da una prospettiva diversa. La salita è stata durissima ma ce l’abbiamo fatta, è un’emozione veramente grande vedere la vallata dall’alto.
Credo che questo momento abbia rappresentato il vero punto di arrivo del nostro viaggio.
Abbiamo attraversato in verticale buona parte dell’India del Nord, in autobus e fuoristrada, scavalcando la parte occidentale della grande catena Himalayana e valicando passi di oltre 5000 metri.
Abbiamo risalito e costeggiato l’Indo per due settimane da Est a Ovest e siamo arrivati in prossimità del Karakorum, nella Nubra Valley, superando l’altissimo passo di Kardung-La, fino quasi ai confini col Pakistan.
L’emozione più grande è comunque qui, in cima allo Stok-La dove, dopo due giorni di cammino che hanno messo a dura prova la nostra volontà oltre che il nostro fisico, abbiamo finalmente trovato la nostra vera meta.
Per me è sempre stato così, ogni viaggio ha il suo climax, il momento culmine, il massimo emotivo. A volte si conosce o si può intuire già prima di partire, altre invece (e sono naturalmente le più belle) si scopre strada facendo, inaspettatamente.
Forse in questo caso è stata la soddisfazione di avere raggiunto il valico solo con le nostre gambe, forse è la grandezza della natura che ci circonda. Le montagne attorno non finiscono più, da una parte scendono rapide fino alla minuscola e verdissima valle di Rumbak mentre dall’altra si fanno più aguzze, piene di guglie e creste.
Questo piccolo valico tra le montagne, in cui l'unico segno di vita è rappresentato dalle bandierine di preghiera tibetane e dai minuscoli stupa di pietra sparsi qua e la, è uno di quei posti dove ci si sente piccoli e grandi allo stesso tempo, uno di quei luoghi dove vale la pena essere stati.
Siamo partiti molto presto ma Rumbak, il villaggio di quattro case dove abbiamo passato la notte, già era sveglio da parecchio e i pastori già avevano condotto le loro capre ai pascoli. La valle su cui è adagiato Rumbak è un miracolo, immersa com'è tra le montagne brulle è una vera e propria oasi. Il sole disegna i contorni degli edifici e le ombre sui pendii tutt’attorno.
Abbiamo dormito qui, ospiti di una delle famiglie che fanno parte del circuito di Homestays del Ladakh che rendono la loro casa disponibile per i pochi viaggiatori che transitano da queste parti. Il villaggio è infatti raggiungibile solo in estate a piedi o a dorso d’asino, mentre d’inverno tutte le famiglie emigrano verso Leh lasciandolo deserto.
Ieri, dopo la prima giornata di cammino da Zinchen, durissima e senza fine, Rumbak ha rappresentato per noi la materializzazione di un miraggio.
Diversi problemi e contrattempi ci avevano quasi fatto desistere dal proseguire. I postumi della dissenteria, una caduta nel torrente gelido, il sole che stordisce e gli effetti dell’altitudine ci hanno quasi debilitato del tutto ieri. Oggi, al secondo giorno di cammino, le prospettive non erano certo migliori perché già sapevamo che ci aspettavano 1000 metri di dislivello per arrivare allo Stok-La, ma una nottata rigenerante, le provvidenziali cure dei nostri ospiti e il nostro morale sempre alto fanno si che oggi sia invece un buon giorno per continuare.
Passo dopo passo procediamo molto lentamente, l’altitudine ancora una volta si fa sentire e non è certo possibile forzare i tempi. Alla fine del primo tratto che segue la vallata ci troviamo davanti a un muro. Iniziamo a salire accompagnati da un altro piccolo gruppo di trekkers, ma non molto più avanti due di loro, dopo avere tentennato per un bel po', non ce la fanno proprio a continuare e decidono di tornare indietro. Noi invece procediamo ormai quasi come teleguidati, cercando solo di mettere uno scarpone davanti all’altro, lentamente. Ci fermiamo quando serve e abbiamo la possibilità anche di godere di ciò che abbiamo attorno. Ogni passo è guadagnato con tanta fatica, ma è anche largamente ripagato.
E proprio così , passo dopo passo, raggiungiamo il nostro climax.
E dire che il viaggio era iniziato in tutt’altra maniera.
Anziché con le montagne e l’aria tersa del Piccolo Tibet il nostro primo contatto indiano era stato con Delhi. Per chi non è mai stato in India consiglio vivamente di leggere il trafiletto della guida Lonely Planet “India del Nord” che parla proprio dell’arrivo a Delhi.
E’ tutto vero.
Il caos della città, le strade stracolme di vita e di ogni mezzo di trasporto immaginabile, l’umidità impossibile sono i primi a dare il benvenuto e a mettere a dura prova ogni visitatore.
Perdendosi tra i vicoli della Old Delhi si vede l’India vera, che meriterebbe sicuramente di essere approfondita. Il nostro obiettivo era però un altro, volevamo raggiungere la Terra dei Molti Passi, nella speranza di trovare un angolo ancora il più possibile intatto di Tibet, e ripartiamo.
Il percorso da Delhi a Leh è un viaggio dentro il viaggio.
Le 18 ore di autobus fino a Manali, su strada quasi normale, non sono niente, il bello arriva più avanti. Da Manali al Ladakh esiste infatti solo una strada (…), percorribile con autobus di linea o con uno dei tanti fuoristrada che fanno servizio di taxi fino a Leh.
Poco fuori Manali già si sale verso il primo dei tanti passi che si incontrano senza possibilità di scampo sul tragitto, il Rhotang. La strada è sterrata, melmosa e franante, causa il monsone che non risparmia nulla di quanto si trovi a sud dell’Himalaya. I tanti camion Tata coloratissimi e gli autobus la rendono ancor più pericolosa, e in molti periodi, anche in estate, è chiusa al traffico dei turisti. Noi siamo fortunati e possiamo proseguire.
Entriamo nella regione del Lahaul e ci troviamo proprio ai piedi della grande catena Himalayana.
Qui il camion che ci precede nel canyon ha la bella idea di fare retromarcia senza guardare chi c’è dietro (gli specchietti non esistono su quasi nessun veicolo in India o in Ladakh) e ci distrugge mezzo cofano, motorino di accensione e tubo dell’acqua.
Sperimentiamo così sulla nostra pelle le “complicate procedure” (risarcimento dei danni diretto e immediato mediante pagamento di quanto si ha in tasca…) che seguono un incidente stradale da queste parti. Siamo però a piedi, la macchina non va, e possiamo usare solo l’ingegno e i pochi attrezzi a disposizione per aggiustarla e farla procedere almeno fino a dove si potrà trovare un meccanico "serio".
Abbiamo a disposizione il cric e due pietre per raddrizzare il cofano, il radiatore e il motorino, mentre rattoppiamo il tubo dell’acqua con del nastro adesivo. L'ingegno si aguzza molto in queste situazioni e ci riscopriamo inaspettati meccanici, si riparte!
Poco più avanti però ci dobbiamo fermare di nuovo perché il motore fa ancora rumore. Torna utile allora la corda, l'unica cosa oltre ai pochi soldi che aveva che ci ha lasciato il camionista che ci ha travolto. Leghiamo un capo al radiatore e l’altro a un albero e in retromarcia completiamo la riparazione. Riusciamo così finalmente a proseguire e, a parte solo un’altra sosta forzata per attendere che i militari facciano crollare con le mine un pezzo di roccia pericolante, valichiamo l’Himalaya dal passo Baralacha-La.
Il giorno successivo ci rendiamo anche conto di quanto siano lontani la modernità, il nostro mondo dei telefonini e sms senza senso, quando non troviamo ad aspettarci a Tso-Kar, come concordato, il nostro secondo autista con attrezzatura da campeggio, vivande e cuoco al seguito, che doveva essere arrivato da Leh. Possiamo solo aspettare visto che non c’è alcun modo di comunicare con nessun altro al mondo se non con i pochi turisti che campeggiano in prossimità del lago, ma la jeep non arriva. L’unica soluzione è quella di proseguire direttamente verso Leh, attraversando il secondo passo più alto al mondo raggiungibile in auto, il terribile Taglang-La, che ci provoca qualche problema per l'altitudine. Solo dopo tre giorni scopriremo che l’autista e il cuoco che stavamo aspettando avevano capito male il luogo dell’appuntamento e sono rimasti ad aspettarci tutto il tempo a Tso-Moriri finchè, finiti i viveri, sono tornati a Leh.
Percorrendo queste strade non si può fare a meno di pensare all’immane lavoro fatto dai “Road Tamers”, i domatori di strade di Himank, colui che ha in pratica collegato l’estremo Nord dell’India al resto del mondo. Hanno costruito strade in ambienti a dir poco impossibili, strade in continua modifica e che richiedono manutenzione infinita. Ogni estate intere famiglie si spostano dal Nepal e dagli stati indiani più poveri come il Bihar per venire qua a scavare, spostare pietre e respirare polvere. E, forse nel tentativo di sdrammatizzare questo lavoro in condizioni proibitive o di scongiurare i tanti pericoli della strada, la BRO (la Border Road Organization) lascia sui cigli delle strade come segno distintivo tanti cartelli gialli con scritte come “LEFT IS RIGHT”, “LOVE YOUR NEIGHBOUR, BUT NOT WHILE DRIVING”, "IF YOU ARE MARRIED, DIVORCE SPEED". .
L’organizzazione di Himank continua a lavorare instancabilmente, ogni anno vengono aperte nuove rotte e già si parla dell’inaugurazione della nuova strada che collegherà lo Zanskar con la Manali-Leh.
Arrivati a Leh non ci si trova certo di fronte a un remoto angolo di Tibet ancora inesplorato, ma si è catapultati in mezzo a una cittadina ormai cosmopolita e meravigliosamente accogliente. Le vie del centro pullulano di guesthouse, ristorantini e mercatini ma la città rimane comunque molto piacevole, un campo base ideale per esplorare il resto del Ladakh.
Il nostro viaggio, pur essendo itinerante, ha avuto infatti in Leh il suo fulcro. Da qui siamo partiti e qui siamo sempre ritornati, e per questo abbiamo avuto modo di apprezzarne pienamente il clima tranquillo e la serenità.
Pur essendo il Ladakh una regione non grandissima, causa il limitato tempo a disposizione e la viabilità stradale che non permette di tenere oltre 30Km/h di velocità media, abbiamo dovuto fare delle scelte. Abbiamo deciso di non visitare tutta la parte occidentale e lo Zanskar, per dedicarci alla regione del Chang Tang, alla Nubra Valley e alla valle di Dha, oltre naturalmente a Leh e i monasteri buddhisti più importanti. Non ricordo sinceramente un luogo o un sito che non mi sia piaciuto, ma non voglio certo raccontare qui quello che si può trovare su ogni guida turistica o sito web che parli di Ladakh.
Ci sono però un paio di immagini che credo valga la pena descrivere.
Il panorama dallo Shanti Stupa o dalle terrazze di Shey per esempio, da dove si può ammirare la valle dell’Indo, verdissima, che viene inghiottita dalle montagne spoglie tutte attorno ed è delineata in maniera perfetta, come un’oasi nel deserto.
Oppure il punto in cui i due maggiori fiumi del Ladakh si incontrano. Il torbido e chiassoso Zanskar lotta prepotentemente per unirsi con il calmo e limpido Indo e, anche se si può rimanere un po' delusi quando si scopre che è il primo a vincere riuscendo a mutare da qui alla fine della sua corsa il carattere di uno dei più fiumi più importanti al mondo, lo spettacolo rimane davvero unico.
Ognuno dei luoghi che si visitano, ogni monastero, ogni montagna, ogni villaggio ha una sua peculiarità, ma quello che impressiona di più il visitatore più attento è il senso di armonia e serenità che sembra circondare questo luogo incantato. Tutto sembra rinchiuso in una dimensione senza tempo, in cui è più facile pensare, stare con se stessi e riflettere su tutto.
Grazie a Jigmet, la nostra fantastica guida, siamo riusciti anche a entrare un po' di più “dentro” il Ladakh e ad avvicinarci alla sua gente, che ci ha trasmesso la sua tranquillità, positività e allegria.
I nostri tanti contrattempi e disavventure, piccoli e meno, sono sempre stati risolti nel migliore dei modi grazie soprattutto al loro senso di ospitalità e amicizia. Grazie a loro ci siamo sentiti a casa e abbiamo avuto la possibilità di vivere al meglio questa magnifica esperienza.
Credo che ognuno di noi abbia ricevuto davvero molto da questo viaggio . Qualcuno ha avuto il modo e la fortuna di ritrovare sensazioni in parte già vissute altrove, mentre qualcun altro ha scoperto invece emozioni e punti di vista del tutto nuovi. Qualunque cosa si sia trovata, sono sicuro che rimarrà comunque viva dentro di noi per molto molto tempo ancora….
Julè! Julè!
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