Da qui il nostro grido d’allarme: le torri rappresentano degli elementi inimitabili di ogni singola contrada del Montefeltro e della Massa Trabaria. Una volta cadute saranno perdute per sempre. Francesco Vittorio Lombardi – 1981
Dopo quello sul Corridoio Bizantino, continua la serie di articoli sul territorio della Provincia di Pesaro-Urbino.
Non essendo uno storico o un archeologo di professione ma solo un appassionato ricercatore autodidatta, difficilmente verranno proposti temi e scritti originali, ma ci si limiterà umilmente a rileggere (e a volte anche a riscoprire) in chiave meno dotta alcuni testi che trattano di storia e folklore locale, sempre con il solo obiettivo di portare più persone a incuriosirsi e interessarsi al nostro magnifico territorio, e di conseguenza a contribuire a proteggerlo in tutta la sua bellezza.
Il mio libro di riferimento è questa volta un breve testo datato 1981, “Le torri del Montefeltro e della Massa Trabaria“, di Francesco Vittorio Lombardi, che ci porterà ad approfondire un po’ la storia delle numerose fortificazioni erette nell’alta valle del Metauro.
Partiamo dal nome, perchè Massa Trabaria?
Le Masse derivano il loro nome dal periodo tardo-imperiale Romano, e altro non erano che vasti possedimenti terrieri derivanti da raggruppamenti di fondi agrari più piccoli lasciati dai proprietari all’avanzare della crisi agricola di quel periodo.
Trabaria si riferisce invece alle travi, cioè ai tronchi degli alberi che da quest’area sin da tempi immemori venivano prelevati e spediti a valle, valicando prima gli Appennini e galleggiando poi lungo il Tevere, per essere usati nella costruzione dei grandi edifici religiosi di Roma.
La Massa Trabaria fu per questo motivo storicamente sempre legata alla Chiesa e i suoi tributi arrivavano direttamente fino alla Basilica di San Pietro, tanto che l’area era anche conosciuta originalmente come Massa Sancti Petri.
All’inizio del 1200 l’imperatore Ottone IV riconobbe la regione come autonoma e la sua estensione arrivò a coprire i territori degli odierni Sant’Angelo in Vado, Mercatello sul Metauro, Sestino e Belforte all’Isauro. In questa vasta area erano presenti tante piccole comunità rurali, anch’esse di fatto indipendenti ma riunite sotto un’unica istituzione chiamata Communis et Universitas Massae, i cui abitanti si facevano chiamare comunemente massani.
La Massa rimase comunque legata alla Chiesa di Roma e fu quindi sempre in lotta con i suoi vicini Ghibellini del Ducato di Montefeltro e di Carpegna. Doveva inoltre difendersi dalle mire espansionistiche di Città di Castello, e i massani si trovarono inevitabilmente costretti a predisporre ingenti sistemi di difesa. Le comunità rinforzarono le mura degli insediamenti e innalzarono torri, probabilmente negli stessi luoghi in cui molti secoli prima si trovavano quelle di avvistamento Bizantine, che avevano protetto i territori della Flaminia e della Romania dalle invasioni dei Goti e in seguito dei Longobardi. Anche le nuove torri vennero quindi erette con lo scopo di avvistare i nemici da molto lontano, per permettere alle guarnigioni di segnalare il loro arrivo con fuochi o suoni di corno e dare modo alla gente dei villaggi di cercare riparo. Inoltre costituivano il punto di riferimento per tutti i mercanti che dalla Toscana o da Roma volessero arrivare all’Adriatico, o per i pellegrini che giungendo dal Nord Europa si dirigevano verso la Città Eterna dovendo attraversare quasi forzatamente la Massa e il Montefeltro.
Nonostante le fortificazioni la Massa non riuscì però a rimanere unita, e nel corso del 1300 molte aree passarono sotto la dominazione di diverse potenti famiglie locali (Faggiola, Brancaleoni), finchè non furono di nuovo riunite sotto lo stato della Chiesa dal cardinale Albornoz, nella sua opera di “reconquista” su mandato del Papa Innocenzo VI in previsione del ritorno in Italia dopo l’esilio Avignonese.
Il nuovo scisma papale del 1378 riportò però di nuovo il caos in Italia e nei possedimenti ecclesiastici, e il territorio venne definitivamente diviso per vallate tra i vari signori e la Chiesa stessa, facendo perdere col tempo anche nella memoria comune il ricordo della Massa Trabaria e delle sue torri, che vennero così in parte distrutte e in parte logorate dal tempo, dalle continue guerre e dai terremoti.
Oggi solo alcuni di questi guardiani di pietra sono rimasti al loro posto. Ricordiamo tra le altre la torre di Montemajo, la torre della Metola, di Castello della Pieve, la torre di S. Martino (l’unica torre cilindrica nella zona), la torre di S. Andrea, la torre di Castel de’ Fabbri e le torri di Parchiule.
Lucio Magi – Gennaio 2016
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Ulteriori informazioni sulle torri della Trabaria sono disponibili sul sito
http://www.turismoborgopace.it/la-massa-trabaria-torri-e-castelli/