Capo Nord e i Fiordi Norvegesi in moto
Diario di viaggio (di Lucio Magi, Ottobre 2006)
Siamo in strada, diretti verso nord.
Ancora non abbiamo mai voluto accendere l’interfono e c’è parecchio tempo per pensare. Questa è una delle cose che mi piacciono di più dell’andare in moto, seguire la strada e avere il tempo contemporaneamente di seguire i propri pensieri.
Penso a come questo viaggio sia venuto un po’ per caso, senza pensarci troppo.
L’idea era già nata un po’ di tempo fa, ma finora ero stato sempre molto scettico al pensare di percorrere tanti chilometri.
Per quanto ami le due ruote non sono un purista della strada. La moto rappresenta per me un mezzo che mi permette di viaggiare in maniera diversa, è un altro punto di vista.
Avevo altri progetti di viaggio in mente per quest’anno, ma alla fine credo sia stata proprio la curiosità a farmi finalmente decidere, la possibilità di vivere da un angolo diverso un’avventura sulla strada, e non un’avventura qualsiasi ma quella che per tanti rappresenta IL viaggio.
Già dal secondo giorno credo di avere maledetto più volte questa mia curiosità….
Dieci ore di pioggia battente sul pur immacolato asfalto tedesco riescono a eliminare velocemente ogni intento poetico.
A questo punto di un viaggio così lungo si è ancora incerti sul da farsi. Frasi del tipo “se continua così, si devia per la Spagna” sono nei pensieri di ognuno di noi. Per fortuna però lasciamo la Germania col sole che ci accompagna sul traghetto verso Gedser, e che ci riporta tanta voglia di continuare.
Superiamo Copenaghen, attraversiamo il sud della Svezia e arriviamo a Stoccolma, dove abbiamo programmato la prima sosta “lunga”, sempre con il sole che ci segue.
Continuiamo poi lungo il golfo di Botnia, superiamo Umea e arriviamo nella parte settentrionale della Finlandia.
La strada che percorriamo in Lapponia è fantastica. Sole e temperature molto miti continuano ad accompagnarci attraverso boschi, laghi e innumerevoli specchi d’acqua.
Per strada incontriamo e incrociamo molti altri che come noi vanno o provengono dall’estremo Nord, con qualunque mezzo. I saluti tra motociclisti si sprecano, in alcuni tratti è impossibile tenere la mano sinistra sul manubrio.
In tanti viaggiano da soli, soprattutto Harley-sti, a volte stracolmi di borse e pacchi che la moto quasi non si distingue, inseguendo un mito.
Ci fermiamo a Inari. Siamo molto vicini alla Russia, si vede e non solo per i cartelli che indicano Murmansk. La gente qui sembra diversa rispetto alla Svezia o alla Danimarca, così come anche i suoni della loro lingua si staccano notevolmente da quelli degli altri popoli scandinavi. Si nota che tutto è meno ordinato e pulito, e ci si sente di essere in una terra più lontana, di frontiera.
Per certi aspetti il paesaggio assomiglia molto al Canada, mentre tante immagini mi ricordano la Mongolia settentrionale, e mi diverto a trovare similitudini tra la gente Sami e gli Tsaatan, gli Uomini Renna.
La mente scorre e si immagina che migliaia di anni fa sia avvenuta una “migrazione orizzontale” nel Nord del mondo, e cerca così di spiegarsi il perché in luoghi così lontani tra loro si trovino le stesse tende a cono rovesciato e come mai genti dalle stesse fattezze mongole si siano distribuite su tre continenti diversi.
Superata Inari la frequenza con cui si incontrano centri abitati diminuisce notevolmente. Il paesaggio, mano a mano che si procede verso Nord, diventa sempre più brullo. La temperatura scende e cominciamo ad accusare un po’ il freddo, appollaiati sul sellino.
Poi a Lakselv ritroviamo il mare e seguiamo il gigantesco fiordo che ci porterà fino all’isola dove si trova Capo Nord. Me la immaginavo completamente diversa, devo dire. E’ di una bellezza selvaggia.
La Kirkeporten, le scogliere a picco sul mare, i villaggi di pescatori ne fanno un luogo fuori dal tempo e, come ogni volta che si visita un posto del genere, ci si chiede se sia possibile raggiungere un compromesso tra la frenesia a cui siamo abituati e la calma quasi surreale che si respira qui.
Abbiamo raggiunto il punto più lontano, in cima al mondo. La sensazione è strana.
Ci si chiede cosa porti tanta gente ad arrivare fin quassù, visto che non c’è nulla di veramente fantastico o di unico nell’isola. Ma vedere ciclisti che arrancano controvento con le bici cariche di pacchi fa certamente pensare, e si comprende allora che il vero mito è il viaggio stesso e non la destinazione, e che è tanto più grande quanto più è grande la difficoltà per raggiungerla.
A Capo Nord finisce anche il nostro primo viaggio.
Sono convinto infatti che questo che abbiamo fatto sia in realtà un doppio viaggio. Il primo è quello che ci ha portato fin qui, in una settimana, quasi di corsa.
Il secondo è quello che ci riporterà a casa nel doppio del tempo, attraverso i fiordi norvegesi.
Nonostante avessimo fatto un itinerario di massima, l’inesperienza specifica dei luoghi e delle distanze ci porteranno a modificare il percorso stabilito più volte.
Vorremmo arrivare a Tromso ma non ce la facciamo. Oltre alla distanza che si rivela molto più grande rispetto a quello stimata, anche un temporale ci rallenta, e ci fermiamo per la notte a Skibotn, un minuscolo villaggio davanti a enormi ghiacciai a picco sul mare.
Il mattino dopo ripartiamo e inizia l’ultimo tratto prima di arrivare alle isole Lofoten.
Queste isole sono entrate nella mia immaginazione quasi vent’anni fa quando, percorrendo un’altra parte della Norvegia in Interrail, avevo sentito parlare di una città chiamata Narvik, dove finiva la ferrovia e dove ci si poteva imbarcare per vedere le balene. Non ero riuscito ad andarci allora e mi sono sempre ripromesso che prima o poi ci sarei arrivato.
Purtroppo nemmeno questa volta riuscirò a vedere le balene, ma già dalle prime immagini che si svelano quando ci si imbarca sul brevissimo tratto di traghetto che da Melbu porta a Fiskeboll, si capisce che da solo questo arcipelago vale il viaggio fin quassù.
Davanti a noi ci sono tante montagne. Molti picchi e canali, nei punti meno esposti al sole, sono coperti di ghiaccio perenne. Sono montagne giovani, appuntite e frastagliate, assomigliano un po’ alle nostre Alpi. E sono immerse in un mare dal blu inverosimile, cristallino. Uno spettacolo unico.
Dopo tanta strada ci concediamo un paio di giorni a girovagare sulle isole. Sono tutte collegate da ponti e gallerie, le strade perfette, guidare è davvero un piacere.
Vediamo Nusfjord, Flakstad e Ramberg con le loro spiagge bianche, e A, il villaggio alla fine di questo mondo, situato sull’estrema punta meridionale dell’isola di Moskenesoy.
Sembra che il sole non voglia mai morire e approfittiamo di queste giornate lunghissime per vedere il più possibile. Non c’è tanta gente in giro. La stagione turistica sta finendo e questo ci permette ancora di più di gustare la serena routine di Kabelvag, il villaggio che abbiamo scelto come campo base.
Sono tre giorni tranquilli, in cui abbiamo modo finalmente di dedicare tempo e anche di perderlo. Il bungalow in cui pernottiamo è molto confortevole, in un campeggio avvolto nella natura, e la cena al pub, con partita a biliardo a seguire, diventa una piacevolissima consuetudine, ma purtroppo anche il nostro soggiorno qui deve finire.
La pioggia saluta la nostra partenza dalle Lofoten e continuiamo lentamente la nostra implacabile discesa verso sud, lungo la E6.
Da un paio di giorni fa abbastanza freddo. Attraversiamo il parco Saltfjellet-Svartisen sotto una leggera pioggia, che ci accompagnerà anche oltre il Circolo Polare Artico. Superiamo Mo I Rana e arriviamo a Trondheim.
La sensazione è strana. Dopo una settimana quasi in mezzo alla natura e poco altro il ritorno alla civiltà risulta bizzarro. Non è così immediato riabituarsi al traffico, alla gente che passeggia ai lati della strada o agli studenti che affollano i tanti locali di questa piacevolissima cittadina.
Abbiamo già tanti chilometri alle spalle ma la guida non pesa più di tanto. Pesa di più il continuo spostamento, il fare e disfare il bauletto e le valige, il togliere e mettere le tute antipioggia.
Ma ripartiamo.
Al risveglio Trondheim è immersa nella nebbia, le nuvole si sono incuneate all’interno del fiordo e non lasciano presagire nulla di buono. Appena usciamo dal muro che le trattiene e iniziamo a salire scompaiono, e il blu del cielo e i raggi del sole ci rinfrancano non poco. Arriviamo ad Andalsnes, e qui inizia uno dei tratti di strada più incredibili che abbia mai visto in vita mia.
Si inforca la deviazione per Trollstigen e la strada si incanala tra due pareti che, assieme alla valle che scorre al loro interno, sembrano il fondo di un enorme cucchiaio. Non sono diritte e scoscese ma, grazie all’azione dei ghiacci, tondeggianti e accompagnano lo sguardo fino alla cima dolcemente. Poi, davanti a noi, un muro ci sbarra la strada. A sinistra e a destra abbiamo due cascate, in cima alle montagne ancora ghiaccio e davanti iniziamo a vedere i veicoli che lentissimamente si arrampicano lungo la parete. Iniziamo anche noi a salire lungo i tornanti. La moto è carica, pesante, e le curve sono talmente strette che quasi ci si deve fermare per poter girare. Tanto per complicare le cose ogni volta che si incrocia una macchina o, peggio ancora, un pullman è quasi un dramma.
Solo una volta arrivati in cima si riesce a capire cosa si è attraversato.
Un percorso dalla geometria disordinata e asimmetrica, eppur a suo modo perfetta, che farebbe felice anche Ultimo Parri, il sognatore di strade protagonista di “Questa storia”.
Scendiamo, attraversiamo lo Storfjorden e risaliamo ancora, ammirando dall’alto Geiranger, incuneata nel fiordo dallo stesso nome. L’acqua qui è di un blu intenso e puro, e osservando le innumerevoli cascate che la riversano direttamente dai ghiacciai non potrebbe essere altrimenti.
Salendo ancora ci ritroviamo su un altopiano. La luce soffusa rende i colori del ghiaccio, dell’acqua e della terra, che si mescolano tra loro, ancora più belli. Ancora una volta sembra un po’ di dover fuggire per arrivare a Lom, la nostra meta, e attraversiamo purtroppo anche questo paesaggio, indescrivibile né a parole né a immagini, senza poterlo gustare al meglio e con la dovuta calma.
Lom è la porta per il parco dello Jotunheimen, che meriterebbe da solo un altro viaggio a parte.
Dalla strada che porta verso Skjolden, bellissima, deviamo seguendo le indicazioni per il Galdhoppigen, una delle montagne più alte di tutta la penisola Scandinava.
La strada comincia subito a salire ed è solo inizialmente asfaltata. Poi diventa sterrata e continua ad inerpicarsi in mezzo alla boscaglia. A un certo punto si esce allo scoperto e ci si sente in balia della natura. Si emerge dalle nuvole e si vedono montagne ovunque, percorrendo una pista senza protezioni, sotto il vento. La strada finisce proprio sotto il ghiacciaio, dove un laghetto trasporta in superficie piccoli iceberg staccatisi dalla massa di neve congelata.
Vediamo gruppi di escursionisti partire dal rifugio che si trova di fianco al lago per risalire il sentiero che porta alla sommità della montagna ma purtroppo questa volta, in veste di motociclisti, possiamo solo seguirli con lo sguardo e invidiarli, finché non vengono inghiottiti dalla nebbia.
Ritorniamo sulla strada principale e continuiamo lungo il nostro percorso.
Attraversiamo il Sognefjord, passiamo Voss e da li arriviamo a Bergen.
La città si trova in una posizione invidiabile, incastonata tra il le montagne e il mare, e ci ospiterà per un paio di giorni.
L’ambiente è molto piacevole, ma alcuni dettagli la rendono un po’ troppo turistica. Il quartiere del porto e il Bryggen sono davvero incantevoli, un po’ meno gli imbonitori italiani al mercato del pesce.
Saliamo sul monte Floyen con la funicolare e torniamo in città a piedi. Ci si rende conto così che il monte stesso fa parte della città, con alcuni quartieri costruiti direttamente sulla fiancata e con le vie che a volte terminano dove iniziano i sentieri.
Usciti da Bergen ci dirigiamo verso Stavanger, da dove ci imbarchiamo poi per Tau.
Abbiamo deciso infatti di cambiare itinerario. Per evitare tanto asfalto “inutile” che, una volta raggiunta Oslo, ci riporterebbe giù fino a Malmoe per riprendere la stessa via dell’andata, decidiamo di continuare verso Sud. La meta è Jorpeland, per vedere la famosa Roccia del Pulpito, il Preikestolen.
Qui ho la dimostrazione ancora una volta di come le aspettative tradiscano spesso la realtà.
Vista la fama del sito mi immaginavo il solito parco con attorno alberghi e strutture turistiche per ospitare i tanti visitatori. Invece troviamo un paesino addormentato, pare quasi che non ci abiti nessuno. Anche all’ingresso del parco c’è solo il parcheggio dove si lasciano i veicoli e dove ha inizio il sentiero che porta in cima alla parete del Lysefjorden, oltre a un albergo e poco altro.
Da Jorpeland continuiamo verso Kristiansand, attraverso la fantastica strada costiera che da Egersund porta fino a Flekkefjord. Abbiamo fretta, visto che abbiamo prenotato il traghetto. Ci imbarchiamo per la Danimarca e capiamo che, quasi senza rendercene nemmeno conto, siamo praticamente arrivati alla fine del viaggio. Fra pochissimi giorni saremo a casa.
Tornando verso casa ancora una volta l’interfono si spegne (questa volta forzatamente causa un filo rotto..) e si torna a pensare. Si ripensa a tutto quello che si è visto, e a tutto quello che invece ci è passato soltanto davanti. Tante immagini scorrono, forse troppe, molte sono ancora offuscate o solo accennate.
Serve un po’ di tempo per capire, ma l’unica certezza è che non c’è la minima voglia di tornare a casa, e penso che a questo punto avrei potuto ancora continuare a guidare all’infinito, pur di rimanere in viaggio.
C’è però qualcosa che non mi torna e che continua a ronzarmi in testa.
Sono forse incontentabile, questo che abbiamo fatto è un viaggio meraviglioso che per molti rappresenta il sogno di una vita, ma penso che mi è mancato un po’ il contatto autentico con i luoghi che abbiamo visitato, e soprattutto con la gente. Sarebbe servito forse il doppio del tempo per potere apprezzare al meglio un itinerario così lungo. Rimane comunque tanta voglia di tornare, di visitare più a fondo i fiordi della Norvegia Meridionale per perdersi a passeggiare in uno dei tanti villaggi di pescatori, di campeggiare nello Jotunheimen magari portandosi dietro una mountain bike, di girovagare magari in canoa su uno dei laghi della Lapponia.
E rimane la voglia di….magari chissà, forse un giorno riuscirò a vedere anche le balene…